Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dovrà essere predisposto dal nostro Paese, entro aprile, per accedere ai circa 209 miliardi di fondi stanziati per l’Italia da Next Generation EU. È un’imperdibile occasione per portare almeno al 60% il tasso di occupazione delle donne in Italia (obiettivo che dovevamo raggiungere 11 anni fa, secondo il Patto di Lisbona): cioè attivare una leva chiave per lo sviluppo economico, produttivo, tecnologico e sociale di tutto il paese.
Per la prima volta, la questione femminile non sarà un capitolo a parte ma, assieme a giovani e Sud, dovrà essere trasversale a tutte le azioni. Cosa si può fare, concretamente? Un’ampia rete di associazioni femminili ha dato vita al manifesto “Donne per la Salvezza – Half of it”, chiedendo alla Ue il rispetto dell’articolo 23 della Carta europea dei diritti fondamentali, che recita “la parità tra uomini e donne deve essere garantita in tutti i settori, compresi l’impiego, il lavoro e la retribuzione”. A dare obiettivi mirati per l’Italia sono state, in un’audizione alla Camera, le economiste e le studiose sociali di Ladynomics, InGenere e Il giusto mezzo. Ecco, in sintesi, le loro indicazioni al governo.
1) Servono obiettivi definiti e quantificati, strumenti, modalità e tempi certi di realizzazione del Piano. La “cabina di regia” del PNRR deve avere un pari numero di donne e uomini capaci e competenti. La diversa prospettiva delle donne, educate da secoli alla cura delle persone e capaci di essere leader diverse nei modi e nei valori, è indispensabile.
2) Nel Piano italiano, a inizio febbraio, comparivano progetti al femminile per due delle cinque “missioni” previste: istruzione e ricerca (favorendo, ad esempio, l’accesso delle donne agli studi scientifici, tecnologici e matematici), ed inclusione e coesione (come il potenziamento dei servizi per l’infanzia, anziani e disabili). Ma è cruciale che ci siano progetti “rosa” anche sui temi della digitalizzazione del paese e della rivoluzione verde, dove si parte da forti squilibri di genere che possono aggravarsi. La maggior parte delle risorse del Piano è già destinata infatti a settori a forte occupazione maschile come l’ICT, le infrastrutture, i trasporti.
3) Per ridurre il divario, si potrebbero usare strumenti come le quote dedicate all’occupazione femminile o mettere indicatori di parità di genere tra i criteri di assegnazione dei bandi per gli appalti. Ma è una strada impervia. Il Covid ha generato prima di tutto una “crisi di cura”, sanitaria e sociale: servono anche più servizi sociali, scuola, welfare e istruzione, generando occupazione in settori dove la presenza femminile supera il 70%. E innalzare la retribuzione dei lavori di cura, ora tra le più basse in Europa.
4) Anche la politica industriale non è neutra e deve essere trasversale. Ad esempio, puntando sulle tecnologie per assistere i nonni, in modo da migliorare i servizi per loro, incentivare settori ad alta innovazione e portare nelle strutture per anziani, ma anche nelle loro case e nelle famiglie, soluzioni avanzate.
5) Importante finanziare anche progetti indirizzati espressamente alle donne, come l’imprenditoria femminile, l’accesso al credito, la prevenzione della violenza domestica e dei femminicidi: una piaga aggravata dalla pandemia.