Probabilmente è la parola dell’anno: resilienza, cioè “la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi”. Una virtù che il nostro paese e tutti noi dovremo sviluppare nei prossimi anni, per imboccare la strada di una vera ripresa, dopo l’urto economico e sociale della pandemia.
Per sostenere il paese in questa direzione sono in arrivo i fondi, le riforme e i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), trasmesso a fine aprile dal premier Mario Draghi alla Commissione europea. Il documento descrive e motiva come utilizzeremo da qui al 2026 gli aiuti, senza precedenti, in arrivo dalla UE. Il “libretto di istruzioni” per ridare gas a un paese che, si spera, potrà affrontare problemi e ritardi che si trascina dietro da anni e ritrovare il gusto del futuro, come auspicato dallo stesso Draghi.
Un paese fragile e lento La crisi pandemica, ricorda il primo ministro nella premessa al Piano, si è abbattuta su un paese già fragile dal punto di vista sociale, economico, ambientale: l’Italia è stata colpita prima e più duramente dalla crisi sanitaria, e a marzo “è stata il primo Paese dell’UE a dover imporre un lockdown generalizzato. Ad oggi risultano registrati quasi 120.000 decessi dovuti al Covid-19, che rendono l’Italia il paese che ha subito la maggior perdita di vite nell’UE”.
Di pari passo nel 2020 il prodotto interno lordo – la ricchezza prodotta dal paese – si è ridotto dell’8,9%, a fronte di un calo nell’Unione Europea del 6,2. Una recessione che arriva a coronare, in negativo, almeno dieci anni di crescita lumaca rispetto ad altri paesi Ue. Il risultato di questa economia in perenne affanno è che, tra il 2005 e il 2020, il numero di persone sotto la soglia di povertà assoluta in Italia è passato dal 3,3% al 9,4% della popolazione
L’economia è nel guado, evidenzia il Piano, anche per la scarsa efficienza e produttività del paese, dovute fra l’altro alla mancanza di infrastrutture, di investimenti pubblici e alla scarsa familiarità con le tecnologie e le opportunità della rivoluzione digitale. Un handicap sia delle piccole e medie imprese, sia della pubblica amministrazione. A rallentare l’intera macchina del Belpaese sono poi le riforme strutturali mai affrontate, come i ritardi eccessivi nella giustizia civile e la burocrazia.
Il nostro paese, spiega il Pnrr, è anche particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e alle loro conseguenze: aumento delle ondate di calore e delle siccità, incremento del livello del mare e precipitazioni sempre più intense. Con il dissesto del territorio, il moltiplicarsi di frane e alluvioni che purtroppo conosciamo bene.
Verso un nuovo boom economico? Eppure abbiamo le risorse morali ed ora anche finanziarie per uscirne, è la tesi del Piano, come abbiamo saputo fare negli anni del miracolo economico dopo la seconda guerra mondiale. Quello fu un boom irripetibile, ma con il Next Generation EU (NGEU), l’Unione Europea sta mettendo a disposizione dell’Italia (la prima beneficiaria in Europa) fondi per oltre 200 miliardi di euro, dei quali 68,9 di sovvenzioni a fondo perduto. A questi si sommano altri stanziamenti pubblici varati direttamente dal nostro paese.
I fondi europei sono finanziati con l’emissione di debito pubblico europeo comune, e per impiegarli il Piano italiano si articola in sei Missioni e 16 Componenti, declinate in obiettivi e voci di spesa (si veda il grafico qui sotto).
È costruito su sei grandi aree indicate dall’Europa: investimenti e riforme dovranno incentivare la transizione verde e la trasformazione digitale (che infatti insieme cubano la metà di quanto destinato dal nostro Piano), la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, la coesione sociale e territoriale, la salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, le politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani. Circa il 40% delle risorse è destinato al Sud: infatti l’obiettivo trasversale a tutte le missioni è ridurre le disparità regionali tra il Mezzogiorno e il Centro Nord, quelle di genere e tra generazioni.
Entro questo mese il Piano dovrebbe essere approvato da Bruxelles, pronta a erogare forse già a luglio una prima tranche di fondi stimata in circa 25 miliardi. Gli ulteriori pagamenti arriveranno man mano, se centreremo l’attuazione degli impegni presi con la Ue nei tempi previsti.
Il 2026, è lo scenario ipotizzato dal Pnrr, il prodotto interno lordo italiano potrà così arrivare a crescere del 3,6% e l’occupazione risalire del 3,2%.
I progetti da realizzare Come vogliamo impiegare tutte queste risorse? Nella “lista della spesa” per il paese del prossimo decennio ci sono decine di grandi opere e centinaia di interventi disseminati su tutto il territorio, con un’enorme impatto sulla vita delle persone e la modernizzazione dell’Italia.
Innanzitutto ferrovie, per migliorare le linee regionali e portare l’Alta velocità in tutte le principali tratte dello Stivale, ma anche cantieri per strade, caserme, opere idriche, infrastrutture portuali e metropolitane. O ancora, il potenziamento dell’economia circolare grazie alla valorizzazione del ciclo dei rifiuti, la copertura della penisola con reti digitali a banda ultra-larga, la rigenerazione delle periferie urbane e dei borghi, un vasto piano di aggiornamento, anche digitale, per il mondo del lavoro pubblico e privato.
La sfida delle riforme Ma la macchina dell’amministrazione e del mercato italiani hanno bisogno di oliare a fondo i propri meccanismi di funzionamento per poter tagliare i traguardi fissati dal Piano di aiuti. Per questo il Pnrr ha promesso all’Europa anche importanti riforme di contesto. Quelle della pubblica amministrazione locale e centrale, puntando a semplificazione e digitalizzazione delle procedure e dei servizi; della giustizia, per snellire processi civili e penali ed il contenzioso tributario; la semplificazione della legislazione, per tagliare quelle norme che opprimono inutilmente la vita quotidiana dei cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione; la promozione della concorrenza, anche per arginare frodi e corruzione e contribuire a una maggiore giustizia sociale.
A realizzare i singoli interventi del Piano saranno proprio lo Stato, le Regioni, i Comuni e gli altri enti locali, il coordinamento centrale sarà in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze con il supporto di altri organismi ad hoc.
I timori per lobby e burocrazia Naturalmente dubbi, proposte e critiche su contenuti e strumenti del Piano abbondano. Ad esempio, sarebbero ancora troppo deboli le politiche per la transizione ambientale e per il Sud, gli investimenti in sanità e su altri temi ritenuti trascurati, come la ricerca e il welfare. Ma è soprattutto sulla effettiva e corretta esecuzione dello “spartito” inviato alla Ue che si appuntano la discussione pubblica e le preoccupazioni degli italiani.
A raccoglierle è stato il Censis, con lo studio dell’Osservatorio Accredia: “Il timore avvertito maggiormente, condiviso dall’80,4% degli italiani, è che vincano le pressioni delle lobby, gli interessi particolari, con un orientamento delle risorse verso il vantaggio di pochi, non a favore dell’intero paese”, sintetizza l’istituto. Altro nemico giurato del Recovery potrà essere, è ancora il timore raccolto dal Censis, la burocrazia. Per tre quarti degli italiani un eccesso di potere degli apparati burocratici nella gestione di un simile fiume di denaro, insieme alla pressione a spendere in fretta, potrebbe comportare una riduzione dei controlli. Facendo spazio non solo all’inefficienza, ma all’illegalità.
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Speriamo che l’atteggiamento dell’Europa venga accolto e accompagnato dal buonsenso. Speriamo che i governi che necessariamente si avvicenderanno, siano semplicemente all’altezza della situazione.. Luca