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Un’estate di tagli che non cancella le paure

Un'estate di tagli
che non cancella le paure

La contestata manovra economica varata in tutta fretta dal governo ad agosto è al vaglio del parlamento. Mancano misure per lo sviluppo. E i timori che la crisi finanziaria abbia nuove impennate continuano a pesare

Che autunno sarà? Quanto peserà sulle famiglie la manovra economica del governo? E, soprattutto, basterà tutto ciò a metterci davvero al riparo da altri colpi della speculazione finanziaria o da ulteriori richieste di tagli da parte dei partner europei e della Bce? Le inquietanti domande che si accavallano nella mente di famiglie e imprese del nostro paese, che provano diligentemente a rimettersi all’opera in questo mese di settembre, non sono certo molto dissimili dall’elenco appena citato. Del resto, le drammatiche vicende susseguitesi tra luglio e agosto, con una manovra economica varata e affondata nel giro di pochi giorni, con un goveno commissariato dall’Europa che ci ha imposto ulteriori e più pesanti provvedimenti, non sono facili da dimenticare. La fragilità della nave Italia, sballottata tra le alte onde della crisi, e, soprattutto, l’inadeguatezza di chi al timone della nave dovrebbe stare, sono apparse in maniera macroscopica.
Così, in poche ore a cavallo di Ferragosto è nata la manovra bis del Governo, un pacchetto da 45 miliardi che dovrà ora passare al vaglio del parlamento, ma sul quale critiche e distinguo (anche all’interno della stessa maggioranza di governo) stanno piovendo in maniera incessante.
Al momento in cui scriviamo è davvero difficile dire se e quali modifiche saranno apportate all’impianto iniziale. Certo è però che il punto di fondo su cui tanti commenti di economisti, imprese e sindacati concordano (vedi il commento qui a lato del presidente di Legacoop, Giuliano Poletti) è che, al di là delle valutazioni sui singoli provvedimenti, quel che manca drammaticamente alla manovra sono misure in grado di rilanciare l’economia e la produzione, perché solo se l’economia riparte si potranno trovare risorse in più che consentano di fronteggiare le conseguenze della crisi.
Sino ad ora la certezza sono i tagli che colpiranno enti locali, statali, pensionati, lavoratori dipendenti e ceto medio. Lasciando bellamente fuori patrimoni e grandi rendite, per non parlare del grande buco nero dell’evasione fiscale.
«È lo specchio di un’Italia forte con i deboli e debole con i forti», dice Rosario Trefiletti, presidente di Federconsumatori. E qui sta forse la differenza fra una classe politica mediocre e una classe politica lungimirante. «Questo paese ha bisogno di una cura che lo porti a crescere rimuovendo gli ostacoli che lo paralizzano. A cominciare dalle rendite di ogni genere, compreso il protetto dall’ordine, l’ereditarietà delle professioni, la scarsa liberalizzazione – osserva Giacomo Vaciago, docente di economia alla Cattolica di Milano –. La cosa difficile per la quale occorre coraggio e lungimiranza è che bisogna preoccuparsi di come vogliamo cambiare. La cosa migliore sarebbe tornare allo spirito dell’Italia postbellica, quando i politici si occupavano del futuro sapendo che il nostro domani non lo decide tutto la Cina. Quel che sarà dell’Italia nei prossimi vent’anni lo possiamo ancora decidere noi».
Anche per l’economista Mario Monti, occorre "far aumentare la produttività, migliorare competitività e crescita e ridurre le disuguaglianze sociali».
Obiettivo eluso dalle due manovre varate dal governo che al contrario accentueranno ancora di più le diseguaglianze. Colpiti soprattutto i nuclei familiari con figli a carico, le spese per l’istruzione, quelle mediche e per gli asili nido. Un salasso indiscriminato che fra il 2013 e il 2014 toccherà tutte le agevolazioni fiscali. «Il grosso della manovra colpisce il reddito fisso – dice Trefiletti –. Così non c’è nemmeno un’azione di rilancio dell’economia perché si va a ridurre ancora di più il potere d’acquisto».
Il quesito chiave resta il solito: perché l’Italia non cresce? «Perché è un paese in frigorifero» spiega Vaciago. Se ci guardiamo indietro, notiamo una tendenza costante alla decrescita. Ma non è una decrescita felice. Negli ultimi 10 anni il Pil è aumentato mediamente solo dello 0,3 per cento. Sì, è vero, c’è stata la grande crisi finanziaria del 2008. Ma molti paesi se la sono ormai buttata dietro le spalle. «Uno dei nostri problemi più seri si chiama produttività negativa – spiega Vaciago –. Questo anche perché siamo un paese che si è modernizzato aggiungendo le nuove tecnologie alle vecchie, senza sostituirle».
E tutto questo mentre l’Ue ci chiede di portare il rapporto debito/Pil dall’attuale 120 al 60 per cento, entro i prossimi vent’anni. «Dimezzare il debito non sarà uno scherzo e questo la gente lo deve sapere – ammonisce Vaciago –. Ma diventa un obiettivo addirittura drammatico se il paese non torna subito a crescere».    



Aldo Bassoni

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