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Strade più sicure: calano gli incidenti

Strade più sicure
Calano gli incidenti, ma l'Europa è ancora lontana

Nel 2009 in Italia -1,6% nei sinistri e -10,3% nella mortalità. Ma, specie nelle aree urbane, ci sono ancora tanti problemi

I dati Istat relativi agli incidenti stradali del 2009 sono confortanti: calano i sinistri dell’1,6% e i feriti dell’1,1% ma soprattutto i decessi, ridotti del 10,3% rispetto al 2008 e scesi a 4.237 unità. La traduzione del dato numerico, consiste in circa 500 vite salvate nel 2009 e ben 2.859 se partiamo dal 2001, anno in cui l’Europa ha lanciato il suo programma di dimezzamento del numero di morti da realizzare entro il 2010. Il risultato è una riduzione della mortalità, nel periodo 2001-2009, che supera il 40%.
Si tratta di numeri tanto più straordinari se pensiamo agli scarsissimi investimenti fatti in sicurezza stradale dal nostro Paese: meno di un euro pro capite nel 2008 e 2009, (contro i 37 euro della Francia e i 20 della Spagna) e nessuno stanziamento previsto per il biennio 2010-2011.
E allora guardiamoli nel dettaglio quei numeri. I risultati più importanti li registra il traffico autostradale che ha contribuito a una riduzione del numero delle vittime del 22,6% nell’ultimo anno abbassando il tasso di mortalità negli ultimi 10 anni di oltre il 70%. Qui l’introduzione nel 2006, del sistema "Tutor" di controllo elettronico della velocità ha fatto la differenza.
Maurizio Coppo Responsabile della segreteria tecnica della Consulta Nazionale sulla Sicurezza Stradale ci parla con un certo orgoglio del lavoro condotto assieme ai componenti del suo gruppo di lavoro, ma non nasconde le ombre che il dato a due cifre dell’ultima rilevazione rischia di celare. "La nostra situazione è indubbiamente un successo, se guardiamo il dato complessivo e lo confrontiamo con quello del 2001. Cambia invece se lo rapportiamo con il nostro stesso passato visto che nel decennio appena trascorso abbiamo all’incirca recuperato quanto perso in quello precedente".
La realtà ci dice infatti che Spagna e Francia fanno molto meglio di noi e Nazioni come Paesi Bassi e Regno Unito hanno tassi di riduzione della mortalità più bassi del nostro 40%, solo perché partivano nel 2001 con un numero di morti per milione di abitanti che era la metà di quelli italiani."
È anche per questa ragione che Coppo considera "straordinariamente deludente" il nuovo Programma di azione per la sicurezza stradale 2011-2020 fissato dall’Unione Europea. "Di fatto ricalca il precedente piano riproponendo in modo omogeneo il dimezzamento del numero dei morti senza tener conto di discrepanze che vanno dai 40 morti per milione di abitanti dell’Olanda, ai 140 della Grecia."
Discrepanze che ritroviamo anche nel nostro Paese dove anche in tema di sicurezza stradale si corre a due velocità. Se alcune regioni come Veneto, Umbria e Emilia-Romagna di fatto hanno già raggiunto l’obiettivo europeo, ci sono altri territori come Calabria e Campania dove la riduzione è ferma a -20% circa, per non parlare della Sicilia dove le vittime addirittura aumentano.
In ogni caso la vera emergenza sono le città. Dopo la Grecia siamo la nazione in Europa con il maggior numero di incidenti nelle città. Nel 2009 sulle strade urbane si sono verificati 163.716 incidenti (il 76% del totale) che hanno causato circa tre quarti dei feriti totali e qualcosa come 1892 morti. Eccolo il triste primato dell’Italia: un numero spropositato di incidenti nelle aree urbane.
"Le nostre città – dice Coppo – fanno registrare mediamente 7 morti ogni 100.000 abitanti mentre Parigi ne ha 2 e Berlino 1,8".
È nelle città che si gioca la partita vera della sicurezza stradale in Italia. È qui che pagano un tributo altissimo gli utenti deboli della strada, il cui numero di morti, addirittura aumenta come si evince dalle ultime rilevazioni (vedi grafico nella pagina precedente).
Nelle città la metà dei morti sono pedoni e ciclisti, senza contare i motociclisti che, come recita l’ultimo rapporto Dekra, rimane una categoria ad elevato rischio in tutta Europa e ancor di più nel nostro Paese, dove il lieve calo di sinistri registrato nel 2009 non può cancellare un dato di mortalità drammatico e pressoché invariato negli ultimi 10 anni.
"Non è possibile che in Italia, andare a piedi sia così pericoloso – tuona Giordano Biserni Presidente dell’Associazione Sostenitori Amici Polizia Stradale – ed è folle il tributo pagato da Roma con i suoi 65 pedoni morti nel 2009". È per questo che va apprezzata la nuova norma del codice (vedi l'articolo di approfondimento) che inasprisce le pene per coloro che non danno precedenza ai pedoni in attraversamento sulle strisce.
Certo, qualche aiuto giungerà dal pacchetto sicurezza emanato nel luglio scorso, ma siamo lontani dal cogliere le esigenze vere della mobilità urbana.
Che fare allora per porre un freno a questa mattanza in cerca di soste? La proposta di Coppo è chiara: "Ci vorrebbe una legge Per una mobilità sicura e sostenibile. Con nuove norme e finanziamenti per le città al fine di ripensarle attraverso nuovi standard urbanistici". Magari con la sicurezza stradale tra gli indicatori di benessere per calcolare anche così il "capitale sociale" di un territorio (vedi l’intervista al presidente Istat Giovannini).
Concentrarsi sulle città vuol dire anche ripartire dai soggetti fondamentali: pedoni e ciclisti appunto, quasi fossero una sorta di "grado zero" della mobilità.
Per metterli in sicurezza occorre cambiare le città con qualcosa di più delle zone a trenta orari, che comunque vanno fatte rispettare. Servono innanzitutto isole ambientali analoghe alle zone de rencontre francesi in cui gli spazi sono condivisi tra i vari utenti della strada, con la regola della precedenza assegnata ai più deboli e vulnerabili.
Insomma dopo anni di attenzioni (spesso solo annunciate) verso le "grandi opere" bisognerebbe oggi ritornare a concentrare l’attenzione sulle piccole opere da compiere in città per salvare vite con un attraversamento pedonale rialzato o con la messa in sicurezza di una rotatoria per i ciclisti. Per favorire sul serio l’utenza debole occorre "osare una ridistribuzione dello spazio e dei mezzi" a favore di quelli non motorizzati. Occorre essere coscienti che, seppure utili, le piste ciclabili non bastano, soprattutto quando diventano ‘medicalizzazione’ ipocrita del traffico urbano. Per redistribuire lo spazio urbano sottraendolo all’auto serve potenziare il trasporto pubblico e disincentivare l’uso dell’auto privata anche agendo sulla leva tariffaria della sosta e del transito. Serve insomma un’"ortopedia" del traffico urbano affinché diventi nel contempo sostenibile e sicuro. In due parole serve assunzione di responsabilità politica e amministrativa, se vogliamo davvero salvare vite umane e non assistere inermi alla rottamazione nell’opinione pubblica del principio etico di integrità fisica e di incolumità del cittadino.  

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