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trasparenti per legge, ma…

La nuova normariva italiana impone di indicare l'origine dei prodotti. Un'arma in più contro i sofisticatori. Ma l'europa potrebbe bloccare tutto anzichè usare questa normativa più avanzata come modello

Lo scorso 10 gennaio, quando i Carabinieri di Ariano Irpino hanno fatto irruzione nei magazzini di alcuni distributori all’ingrosso di prodotti alimentari, si sono trovati di fronte una consistente quantità di wurstel, carciofini sott’olio e insaccati ammuffiti destinati forse alle pizzerie della zona e quindi allo stomaco degli ignari clienti. Non mancava una partita di barattoli di salsa di pomodoro scaduta da ben dieci anni. Scene purtroppo frequenti nel paese dove più della metà di concentrato di pomodoro spacciato come San Marzano, viene dalla Cina. Non a caso l’elenco delle requisizioni dell’Agenzia delle dogane, è infarcito di sequestri di pelati contraffatti, per lo più in provincia di Napoli.
Altro grande business delle contraffazioni alimentari è rappresentato dall’olio extravergine d’oliva, come quello sequestrato la vigilia di Natale a Salerno che risultava essere in realtà Olio di oliva lampante (il cui nome deriva dal fatto che era quello una volta usato per le lampade e che può essere venduto come alimentare solo dopo rettifiche).
Ma c’è anche il latte ungherese spacciato per italiano al cento per cento. Carni con ormoni, prodotti di qualità completamente falsificati che non risparmiano nemmeno i nostri più blasonati simboli dell’italica cucina, tra cui il vino e i formaggi.
Nonostante la crisi, l’import-export del cibo taroccato tira alla grande in nome del facile guadagno, spesso all’ombra delle organizzazioni malavitose che hanno individuato nella contraffazione degli alimenti un settore redditizio per i loro affari illegali, al punto che anche tra le carte di WikiLeaks sono stati trovati dispacci assai allarmati del console americano di Napoli preoccupato delle mele cariche di pesticidi provenienti dalla Moldova, dei panifici gestiti dalla camorra dove si impasterebbe il pane con sostanze tossiche e di alcune fabbriche del casertano che producono mozzarelle di bufala con latte boliviano. Insomma non siamo messi benissimo: frodi, truffe, scadenze non rispettate, alimenti in cattivo stato di conservazione, carenze igienico strutturali e, sempre più spesso, irregolarità sulle etichette degli alimenti imperversano intorno a noi e attentano alla nostra salute.

Fronte del cibo
Da una parte l’industria delle frodi e delle sofisticazioni alimentari e dall’altra Nas, Dogane, Ministero della salute, Capitanerie di porto e perfino Guardia forestale.
Soltanto i Nas hanno effettuato quasi 35.000 controlli nel 2009 (i dati del 2010 non sono ancora disponibili) con più di 23.000 infrazioni rilevate. Sul fronte del cibo si combatte una guerra senza quartiere. Le leggi non mancano e sono anche buone. Si parte dalla famosa 283 del 1962 (che ha rischiato di cadere nel tritacarte del semplificatore Calderoli se non fosse intervenuta la Cassazione a ripristinarla), e si finisce con la recente legge sull’etichetta d’origine approvata all’unanimità dalla Commissione agricoltura della Camera il 19 gennaio scorso sulla quale pende però il giudizio dell’Europa che, si teme, potrebbe sanzionarla in nome della libera concorrenza.
«Fermo restando che sono molte le azioni che occorre svolgere per azzerare le frodi e le sofisticazioni alimentari, questa legge è molto importante – dice Silvia Biasotto, responsabile sicurezza alimentare del Movimento difesa del cittadino (Mdc) –. Sappiamo che è in contrasto con le norme europee in quanto l’etichettatura è materia della Ce, pertanto non si può escludere che l’Europa apra una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Detto questo, l’esperienza del passato ci dice che quando abbiamo fatto un’altra invasione di campo con la legge sull’etichettatura d’origine dell’Olio d’oliva vergine ed extravergine, dopo una serie di provvedimenti, alla fine l’Europa si è adeguata e ha fatto sua la nostra legislazione».
Purtroppo in Europa ci sono i lobbisti delle potenti multinazionali pronti a ostacolare il cammino di tutti quei provvedimenti che potrebbero danneggiarle, ma ci sono anche paesi che non puntano sulla tipicità del prodotto.

Frodi barbare
Indubbiamente questa legge va più a vantaggio dei nostri produttori i quali potrebbero essere preferiti ad altri paesi, soprattutto quelli del Nord Europa, grazie all’etichettatura d’origine. Ma forse non è una buona ragione per dire che questa legge ostacola la libera circolazione delle merci, mettendo in secondo piano, se non addirittura rimuovendo, il problema della trasparenza e del diritto dei consumatori a sapere esattamente da dove viene tutto quello che mangiamo.
«Prendiamo il caso dei polli alla diossina provenienti dalla Germania – prosegue Silvia Biasotto –; se tutti i cittadini europei avessero saputo da dove arrivava quella carne si sarebbero limitati a non acquistarla. Invece un intero settore è stato messo in ginocchio perché la gente non si fidava e non comprava più polli, neanche quelli sani allevati in Italia, solo che nessuno lo sapeva».
Nessuno, ad eccezione dei clienti Coop dove l’italianità delle carni, compresa quella suina, è da tempo riportata sulle etichette con tanto di informazione sull’origine della materia prima e sui successivi passaggi della filiera. Per il propri prodotti a marchio, Coop ha precorso i tempi anche sulla provenienza dei prodotti alimentari. Lo ha fatto nel 2001 per le olive, nel 2003 per il pomodoro, nel 2005 per pelati, passate, sughi e latte microfiltrato, nel 2009 per le carni suine e si è dotata di certificazione di rintracciabilità per numerose filiere animali e vegetali.
«Senza dubbio – sottolinea Claudio Mazzini responsabile Innovazione e Valori della Direzione Qualità di Coop Italia – accogliamo favorevolmente questa legge perché è importante sapere da dove viene un prodotto per poter scegliere. Ma è ancora più importante il "come", cioè quali garanzie vengono offerte sulle modalità produttive, sui controlli, sulle caratteristiche di sicurezza e qualità dei prodotti. Noi da sempre siamo per la tracciabilità, siamo impegnati a rendere più trasparenti le filiere, fornendo maggiori informazioni ai soci e consumatori».

Lo spirito della legge
«Abbiamo sempre sostenuto che l’informazione sui prodotti è quasi un diritto naturale dei cittadini perché io voglio sapere da dove proviene la materia prima, voglio sapere tutto di quello che mangio – aggiunge Rosario Trefiletti, Presidente di Federconsumatori –. Intendiamoci, voglio sapere tutto anche delle scarpe che indosso, però qui siamo nel campo della salute e io pretendo di conoscere esattamente la filiera del cibo che mangio, quindi bene questa legge. La questione che ci preoccupa di più – prosegue Trefiletti – è che l’Europa possa aprire un procedimento di infrazione se giudica che questa nostra nuova legge sulle etichettature dei prodotti introduce una turbativa al libero mercato. Noi, al contrario, ci auguriamo che le istituzioni comunitarie convincano anche gli altri paesi che è un diritto di tutti i cittadini dell’Unione sapere da dove arrivano i prodotti che mangiamo».
L’esito del confronto che sicuramente si aprirà non è scontato. La speranza e che, siccome l’Italia ha una delle migliori legislazioni in materia di sicurezza alimentare, l’Europa spinga gli altri Paesi ad adeguarsi ai nostri avanzatissimi standard di legge, una delle poche cose di cui possiamo vantarci nel mondo.
«Dunque sarebbe sbagliato cercare una mediazione al ribasso, sono gli altri che devono tenersi al passo con noi – avverte Trefiletti –. Il punto è che anche gli altri paesi devono avere l’etichettatura d’origine, quindi la battaglia va estesa, bisogna che la comunità europea si ispiri alle leggi più avanzate».
In attesa del giudizio dell’Europa, dunque, si va avanti. Entro sessanta giorni il governo dovrà approvare i decreti attuativi. I primi ad essere approvati riguarderanno molto probabilmente le carni suine e avicunicole (per i bovini siamo già a posto dai tempi della Bse) e la filiera lattiero casearia. Non si tratta è ovvio di provvedimenti banali, per questo sono previsti dei tavoli interministeriali ai quali però sono iscritti solo i produttori e non anche le associazioni dei consumatori.

E l’Agenzia per la sicurezza?
Ma c’è un altro fronte, tutto interno al nostro paese. Lo scorso anno il ministro dell’economia ha tagliato i fondi alla nascente "Agenzia per la sicurezza alimentare" che successivamente è stata soppressa nonostante fosse prevista dalle leggi comunitarie e istituita dal precedente governo. La competenza in materia di sicurezza alimentare è divisa oggi tra Ministero della salute e Ministero delle politiche agricole.
«Quello che manca è proprio un’agenzia che riunisca in sé tutte le competenze e le azioni per promuovere la sicurezza alimentare nel nostro Paese e l’informazione dei consumatori – dice Silvia Biasotto – e per questo ci batteremo affinché questa Authority venga istituita». E di informazione ce n’è più che mai bisogno per difendersi non solo dalle insidie del mercato globale degli alimenti, ma anche dai pericoli più banali nascosti dietro un sushi: quanti consumatori e quanti ristoratori sanno che per legge il pesce crudo deve essere prima congelato a meno 20 gradi se no c’è il rischio di beccarsi la temibile anisakis, una larva presente nell’apparato digerente del pesce che, se assunta dall’uomo, può provocare danni intestinali? Un’inchiesta di "Altroconsumo" condotta su diciannove ristoranti a Roma e Milano ha verificato che solo tre rispettavano la legge sul congelamento del pesce.
«L’informazione dunque e alla base della tutela e della sicurezza alimentare – osserva Trefiletti – perché un consumatore informato sarà più attento a quello che acquista, leggerà con attenzione le etichette e saprà sempre far valere i propri diritti». E se conoscere l’origine dei prodotti che finiscono sulle nostre tavole è importante, ancora più lo sono le garanzie sulle modalità produttive, sui controlli e sulle caratteristiche di sicurezza dei prodotti è importante dare più informazioni utili ai consumatori per effettuare acquisti sempre più consapevoli».    



Aldo Bassoni

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