Il ruolo delle donne
“Ribelliamoci contro chi ci vuole belle e zitte”

Cosa hanno visto e sentito Marzano e Zanardo che noi donne italiane, ormai assuefatte e anestetizzate non riusciamo più a vedere? “La proposta di un modello unico di donna”, risponde la filosofa, autrice anche del recente volume ‘Sii bella e stai zitta’. “Ovvero – continua Marzano – una donna impeccabile da un punto di vista fisico, concentrata unicamente sul proprio corpo“. “Donne in ginocchio, a carponi sotto un tavolo, che non parlano, zittite, valutate solo per la loro bellezza – dice Zanardo – e il problema è che questo modello è praticamente l’unico che viene proposto”. Anzi, peggio, incalza la filosofa: è praticamente l’unico modello proposto che abbia a che vedere col successo, con la riuscita. Nel suo libro, cita uno studio del Censis del 2006: nei programmi televisivi delle principali reti italiane, le donne appaiono come attrici, cantanti, modelle; i conduttori sono in genere uomini; il loro atteggiamento nei confronti delle donne è sempre più spesso improntato all’ironia, alla malizia e all’aggressività; le abilità artistiche e le capacità intellettuali femminili sono sistematicamente svalutate: le donne, in genere più nude che vestite, sono presenti sulla scena soprattutto per sorridere o tacere. “Se le uniche donne rappresentate sono queste – prosegue – il punto è, allora, che la realtà femminile, la possibilità di espressione per le donne si è di fatto ristretta. E si sono ristretti anche i diritti. Quando sentiamo un’adolescente dire: da grande voglio fare la velina o la politica, qualche problema c’è. E non è solo un problema di televisione. I salari delle donne, in Italia, sono mediamente più bassi del 25%. Solo il 13,5% dei posti di responsabilità sono occupati da donne. E il calo della natalità ci induce a toccare con mano che la vita delle donne è molto difficile, nella pratica quotidiana, e che c’è una profonda regressione in atto”.
Una regressione che utilizza il corpo delle donne per renderle oggetti, per mercificarle, per ricacciarle indietro rispetto ai diritti conquistati negli anni Settanta. Scrive la Zanardo nel suo libro: “Scusi, lei è femminista? – è la domanda che mi viene rivolta più spesso ai dibattiti. E onestamente non so più che dire. Mi ritrovo, io che femminista militante non sono mai stata, io che mentre le mie simili combattevano anche per i miei diritti ero già in azienda, mi ritrovo a rispondere che sì, sono femminista”. Certo, è difficile pensare che siano stati fatti dei passi avanti se si ascoltano interventi come quello registrato da Lorella Zanardo nel suo documentario: “… finchè lo fa l’uomo, di uscire con tante donne, come il mio fidanzato, è sempre bene. Quando una donna si fa vedere con tanti uomini, viene definita un’altra cosa” (Mattino 5).
Ma è Michela Marzano, classe 1970, a chiarire ancora meglio il senso di questa dinamica involutiva in un paese che “offende le donne“. “Si è evidentemente interrotta la catena dell’educazione, e l’unico mezzo educativo è rimasta la televisione a cui è mancato un contrappeso credibile. Le vittorie ottenute negli anni ’70 si sono rivelate non consolidate. Peggio: si è riaffermata un’idea pre-moderna di machismo secondo la quale la donna o è santa o è puttana. In una società in cui il liberismo spinto è considerato un valore, in cui tutto si può comprare e vendere, anche la donna è diventata una merce come le altre, e perciò viene usata per regolare questioni politiche ed economiche. Cercare di limitare questi fenomeni non è limitare la nostra libertà, ma riaffermarla. L’identità della donna non può essere ristretta entro l’una o l’altra categoria, a seconda delle scelte che fa nel corso della vita”. “È interessante – scrive su questo aspetto Lorella Zanardo – che la libertà di utilizzare il corpo delle donne a fini mercantili sembri oggi il diritto più garantito in Italia, da parte di molti intellettuali e – sorprendentemente – di molte intellettuali”. Fino ad accusare di volontà censoria chi vorrebbe che le donne, in tv, non apparissero così umiliate. Ma che senso ha – come mostra Zanardo nel suo documentario – la pubblicità di un profumo femminile proposto attraverso un’attrice che si spoglia? “Il fatto è – spiega l’autrice – che abbiamo introiettato il modello maschile, o meglio: il presunto modello maschile. La colonizzazione del nostro immaginario ha significato non saper più distinguere i nostri desideri più profondi e oggi ci osserviamo l’un l’altra come pensiamo ci guarderebbe un uomo”. E allora ecco i seni rifatti, l’invecchiamento del corpo e del volto visto come perdita di potere e di identità, i volti deformati dall’immobilità botulinica o dai gonfiori del silicone.
Che fare, allora? È sufficiente indignarsi? Se non sono proposti alle ragazze modelli positivi differenti rispetto alla “bella sen-z’anima”; se le donne vengono valutate solo per il loro aspetto fisico; se le madri non riescono a conciliare lavoro e famiglia, e sono costrette a un aut aut che ne riduce autonomia e capacità es-pressive; cosa possono fare le donne, ma anche gli uomini, che vorrebbero altro?
Per quanto riguarda il corpo, Marzano ci invita a “costruire un riparo per questo corpo che c’è, anche se il riparo è fragile e precario. Cominciamo a coccolarlo nonostante i suoi difetti. Facciamocene un amico. Cerchiamo di capire che, a volte, una pancia morbida può essere più sexy di un ventre piatto”. E che la felicità è “essere amati per ciò che si è e non più per l’icona a cui ci si sforza di assomigliare”.
La Zanardo suggerisce di vigilare, di continuare a guardare la tv con occhio critico, di insegnare alle ragazze e ai ragazzi a ‘vedere’ l’umiliazione di veline e vallette, l’imposizione di un modello unico di femminilità, facendo loro capire cosa c’è dietro, ovvero la volontà di zittire le donne. Suggerisce anche il boicottaggio dei prodotti che usano nelle loro pubblicità il corpo femminile per vendere prodotti: “Farsi ascoltare non è poi così difficile: numericamente superiori, le donne decidono gli acquisti per tutta la famiglia”. E poi chiede alle donne di imparare a saper riconoscere i loro bisogni più profondi, al di là dei modelli imposti.
Certo, c’è tanto da fare, ammette la filosofa Marzano. “Occorre decostruire le immagini e i modelli della tv per permettere alle giovani generazioni di scegliere liberamente il proprio avvenire. A chi mi dice che anche il voler diventare veline è una libera scelta, io rispondo che non sono certa che lo sia. Se una bambina, nel corso delle sua vita, ha solo visto quel tipo di riuscita, che cosa mai può scegliere se non quello? Se una donna ha subito violenza, ad esempio, come può pensare di avere un valore al di là di sentirsi un oggetto nelle mani di qualcuno? Lungi da me la volontà di dare giudizi morali o di valore, dico solo che la possibilità di scelta deve essere reale”.
E se gli altri modelli non ci sono? “Sì, non ci sono, o meglio: sono sommersi e marginali. Per questo dobbiamo agire, anche nel nostro quotidiano, perchè le cose possano cambiare. Bisogna parlare con le persone che frequentiamo, dirci e dire che quello che conta veramente sono le competenze che si possono acquisire nel corso della vita e pretendere di essere riconosciute e valutate per questo. Dobbiamo diventare credibili, farci ascoltare e lavorare, lavorare, lavorare”. Sul cervello, e non solo sul corpo.
Silvia Fabbri