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Questo non è un paese per laureati

Questo non è un paese per laureati

Calano le iscrizioni all'università. Tra gli italiani tra i 25 e i 34 anni solo 19 su 100 sono laureati contro una media europea del 30%. Intanto crescono le tasse e trovare un lavoro diventa sempre più dfficile

La laurea perde appeal. Secondo dati resi noti dal Consiglio universitario nazionale (Cun), è calato il numero di iscritti nelle facoltà pubbliche italiane e quindi, in prospettiva, sarà possibile, nei prossimi anni, un ulteriore calo di laureati. Le cifre: nel 2010 le immatricolazioni hanno subito una diminuzione del 5% con 3.986 nuovi iscritti in meno rispetto al 2009. Negli ultimi quattro anni, poi, la percentuale dei nuovi ingressi negli atenei è scesa del 9,2% con 26 mila immatricolazioni in meno. Eppure il numero degli studenti che si è diplomato è aumentato nell’ultimo anno dello 0,9%. Complessivamente il numero degli iscritti si contrae in tutta la penisola, ma il Centro e il Sud, dove il calo degli ultimi quattro anni è complessivamente del 19,6%, soffrono di più.
Un bel disastro per un paese che detiene il triste primato della percentuale più bassa d’Europa di dottori. Tra i connazionali di età compresa fra i 25 e i 34 anni, soltanto 19 italiani su 100 risultano in possesso di un diploma di laurea. La media europea si colloca attorno al 30%, con Paesi come Francia, Spagna, Danimarca, Svezia e Regno Unito attorno al 40%.
Il futuro che non c’è
"È del tutto evidente – commenta Domenico De Masi, docente di sociologia del lavoro all’Università "La Sapienza" di Roma – che in Italia il valore simbolico e pratico della laurea universitaria è bassissimo, in un processo che si è inesorabilmente consolidato nel corso degli anni. Già noi siamo un paese con pochi universitari, basti pensare che per 100 diplomati negli Usa 72 vanno all’università, in Canada siamo a 52, in Italia appena a 32. Cioè meno della metà rispetto al dato americano. Questo quadro è aggravato dallo stato da malate terminali delle università pubbliche nel nostro paese. Spesso si tratta di sedi brutte e sporche, che trasmettono un’idea di luoghi di seconda categoria. Aggiungiamo il fatto che molti leader politici in Italia non sono laureati, come a dire che tanto la laurea non serve più di tanto. Quello che sta accadendo in Italia è l’esatto contrario rispetto agli sforzi enormi che il resto del mondo sta facendo per aumentare e migliorare la qualità degli studi. Nella società postindustriale, in cui sempre più vivremo, la conoscenza è tutto e dunque investire sulla formazione è la chiave del nostro futuro". In Italia, infatti, 4 giovani su 10 (indagine Eurobarometro) pensano che l’istruzione universitaria non sia necessaria. è il dato più alto di tutta Europa. La media di giovani europei è del 20%, ma tedeschi, cechi e olandesi – giusto per citarne alcuni – vogliono fare l’università. Tutti.
Tra l’altro non è detto che chi non studia vada immediatamente a lavorare (anche perché di lavoro, per i giovani, non ce n’è: l’Italia ha anche la maglia nera europea per disoccupazione giovanile che nel primo trimestre del 2011 è arrivata al 29,6%, con un picco del 46,1% per le donne del Mezzogiorno). L’Istat ha anche calcolato che in Italia ci sono più di due milioni (pari al 21% dell’intera popolazione giovanile) di Neet, acronimo inglese che sta per Non in Education, Employment or Training. Giovani al palo, insomma, che non lavorano, non fanno l’università, né seguono attività formative. Gente in attesa di un futuro che forse non arriverà. 

La laurea che non paga
Oggi non si fa l’università, forse, soprattutto per questo: perché il lavoro non c’è, né prima, né dopo l’università. "In Italia – ha spiegato il direttore generale del Censis Giuseppe Roma, nel corso di una audizione alla commissione lavoro – la laurea non paga. I nostri laureati lavorano meno di chi ha un diploma, meno dei laureati degli altri paesi europei". Qualche dato: in Italia trova un’occupazione il 66,9% dei laureati di 25-34 anni, contro una media europea dell’84%.
Anche secondo il XIII Rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati (laureati 2009 intervistati nel 2010 e laureati del 2007 intervistati a tre anni dalla laurea), non sono pochi i campanelli d’allarme. Aumenta ulteriormente la disoccupazione fra i laureati triennali (dal 15 al 16% a un anno dal conseguimento del titolo) e più si studia, meno si lavora: per i laureati specialistici la disoccupazione sale al 18%. Con alcune significative differenze, però. Sempre secondo Almalaurea, alcuni (pochi) percorsi di studio assicurano un lavoro a un anno dalla laurea: medicina al 98%, architettura all’86%, ingegneria all’84%, economia-statistica all’86%.
Inoltre i guadagni dei dottori perdono peso. Lo stipendio dei laureati brevi è sceso in questi anni del 5%. Quello degli specializzati del 10%.
Altro elemento di preoccupazione è l’aumento del lavoro atipico e la robusta crescita del lavoro nero. "Con una disoccupazione giovanile spaventosa – spiega Roberto Nicoletti, prorettore agli studenti dell’Università di Bologna – è chiaro che non c’è lavoro neanche per i laureati. Per avere una laurea spendibile nel mondo del lavoro, occorre che un lavoro ci sia. Poi c’è un altro problema, che è quello di considerare l’università una scelta come un’altra. Magari aspetto prima di iscrivermi, faccio lavoretti, finisco fuori corso e alla fine arrivo alla laurea dopo i 26 anni, o anche oltre, quando è molto più difficile trovare lavoro. Studiare invece deve essere ritenuta una attività che richiede impegno, sforzo e sacrificio". "L’Italia delle università – conferma De Masi – ha specificità che rasentano l’assurdo. Due terzi degli studenti sono fuori corso, in questo siamo unici al mondo. La frequenza ai corsi deve essere obbligatoria, altro che fuori corso. Occorre reintrodurre un’idea di serietà degli studi che si è notevolmente affievolita. In più occorre la consapevolezza, tornando al discorso della conoscenza come valore, che la formazione serve come fattore di qualità per tutta la vita, non solo per il lavoro. Paradossalmente e senza voler sottovalutare gli enormi problemi che hanno i giovani a inserirsi nel mondo del lavoro, verrebbe da dire: meglio un disoccupato colto che ignorante". Una provocazione? Con un Ministro del lavoro che invita i giovani a fare lavori umili, anziché proseguire gli studi è giusto compensare un po’…

I tagli all’università
Ma bisogna anche chiedersi cosa dovrebbe fare l’università per avvicinare i giovani agli studi. Certo, la riforma del ministro Gelmini, venduta come "lotta agli sprechi", rende più difficile la vita anche e soprattutto agli studenti. Intanto, ha già portato alla soppressione di 34 corsi e all’eliminazione di sei sedi decentrate (obbligando cioè più giovani a dover affrontare le spese da fuori sede). A Bologna entro il 2013 le attuali 23 facoltà dovrebbero diventare 12. Nel 2012 la maggior parte degli atenei italiani, condannati dai bilanci in rosso, non potranno reclutare nuovi docenti sia a tempo determinato che indeterminato. La Cgil ha calcolato che il pensionamento previsto per il prossimo quinquennio taglierà il 50% degli ordinari e il 25% di associati e ricercatori. Una fuoriuscita di massa dal sistema universitario di circa 600 ordinari che non verranno rimpiazzati perchè oltre il 50% delle università, finanziariamente in crisi, non potrà fare assunzioni. Gli effetti di questi tagli? Accorpamento e cancellazioni di corsi di laurea. Contrazione degli appelli d’esame (che provocheranno un aumento dei fuori corso). Aumento delle rette (ne parliamo in queste pagine). Abolizione di tutte le borse di studio post laurea.
In più la laurea breve è ormai considerata più alla stregua di un diploma che di una vera e propria laurea, con un allugamento di tempi e costi per arrivare al titolo più spendibile. "L’introduzione della laurea triennale – conclude De Masi – è stata un colpo di grazia sul corpo già comatoso dell’università pubblica". Anche secondo il direttore del Censis sarebbe opportuno anticipare i tempi della formazione e metterla in fase con le opportunità di lavoro: "La laurea breve deve diventare un obiettivo conclusivo nel ciclo di apprendimento. Per favorire l’occupazione dei laureati, si potrebbe ad esempio detassare completamente per un triennio le imprese costituite da almeno un anno da parte di giovani con meno di 19 anni. Infine – ha proseguito Roma – occorre accompagnare il ricambio generazionale in azienda". Migliori prospettive occupazionali dei laureati aumenterebbero senza dubbio l’appeal della laurea, ma certo il nostro paese fa pochissimo per raggiungere il 40% di laureati nella popolazione di età tra i 30 e i 40 fissato dalla Comunità europea come obiettivo strategico. Non siamo neanche alla metà. Senza inversione di rotta, il nostro paese rischia di perdere il proprio futuro.   
 

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