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“Quel legame ambiguo con gli adulti”


“L’ambiguo legame con gli adulti”

 

Intervista a Ilvo Diamanti, curatore dell’indagine: la società tratta gli under 35 come superflui, tenendoli ai margini delle risorse economiche

 

Professor Diamanti, una premessa metodologica: la ricerca fa riferimento a persone dai 15 ai 35 anni. Perchè si è giovani fino a 35 anni?

Non è una forzatura, tutte le indagini ormai arrivano a questa età, anche perchè si definiscono adulti coloro che raggiungono un certo grado di autonomia. Difficile trovare qualcuno che a 27, 28 anni non sia più a casa dei genitori. Difficile trovare persone con un lavoro ben remunerato e non precario a 35 anni. Questo significa che hanno ancora bisogno dei genitori e cioè non sono, ancora, adulti. L’età giovanile si è allungata anche perchè è la nostra stessa società che tende a dilatare all’infinito il concetto di gioventù. Per escludere dalle risorse economiche le persone appartenenti a questa categoria, per tenerle ai margini.

 


Lei afferma che la definizione che la società dà dei giovani, è il modo con cui la società definisce il proprio futuro. In che senso?

I giovani sono di fatto una metafora biologica ed evolutiva della società. Perciò interrogarsi sui giovani è interrogarsi sul futuro della nostra società. Già dagli anni ’90 – come emerso da una nostra ricerca analoga a questa – i giovani erano diventati invisibili. Insomma, era finito il conflitto generazionale e i figli assomigliavano sempre più ai loro genitori. Rispetto ai giovani che li avevano preceduti, questi non facevano più parte di movimenti di massa. Insomma, la gioventù ha cominciato a non distinguersi più dalle altre età, sintomo del fatto che è stato negato loro un fattore di cambiamento. Oggi i giovani restano invisibili, e sono anche molto prudenti, agili e adattabili alle circostanze perchè la società in cui vivono lo richiede. Ma è una società che li considera superflui e li tratta come tali.

 

Forse perchè tutti ci riteniamo giovani fino oltre i quaranta anni?

Sì, oggi c’è una forte indisponibilità a invecchiare e a crescere. È come se non esistesse più la traccia biografica della società. E quindi la società non ha più un futuro.

 


Lei definisce il legame tra figli e genitori un legame ambiguo. Perchè?

Perchè tra loro c’è un rapporto di reciproco bisogno, di complicità, ma non tra pari. Oggi i giovani hanno bisogno dei genitori, perchè sanno – ed emerge anche dalla ricerca – che da loro dipende il loro futuro, anche economico. La casa in cui abitano i genitori, ad esempio, sarà la loro casa, visto che sempre di meno i giovani riescono ad avere le risorse per comprarsela. E i genitori hanno bisogno dei figli anzitutto perchè i figli sono pochi e sono, per una famiglia, diventati un forte investimento. Se prima c’erano tanti figli, oggi ce n’è 1,1 per famiglia. I genitori, senza i figli, soffrono di solitudine. E poi la vita media si è allungata sempre di più, ma si è ridotta anche la qualità della vita, il grado di autosufficienza fisica e relazionale. Così i giovani dipendono sempre più dagli adulti e gli adulti sempre più dai giovani.

 


Dalla ricerca emerge che i giovani sono continuamente impegnati nella comunicazione a distanza, che lei ha chiamato “comunicazione non empatica”. Come interpretare questo fenomeno?

A differenza degli adulti, analfabeti informatici, i giovani sono professionisti della comunicazione a distanza. Appunto: a distanza. Da ciò il paradosso di una generazione costantemente impegnata a comunicare, incontrandosi sempre meno in modo diretto e “fisico”. Da ciò una certa sfiducia negli altri. Anche nei propri coetanei. Per disabitudine all’incontro personale e diretto. 


Silvia Fabbri

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