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“Perchè faccio l’università…”. Le storie di Mattia, Matteo e Cristina

Fare l'università perchè…
Ecco la storia delle scelte di Mattia, Matteo e Cristina

Mattia 21 anni, iscritto a lettere e filosofia, fuorisede, studente lavoratore. “Ho deciso di seguire il corso di laurea in lettere semplicemente perché mi piace la letteratura. Mi piaceva fin dal liceo. Preoccupato per i possibili sbocchi lavorativi? E perché mai? Sono convinto che le lauree umanistiche, in particolare quella che ho scelto, aprano la mente, rendano le persone adatte a svariati compiti – e non a uno solo. Del resto il mercato del lavoro ci costringerà a cambiare svariati mestieri, tanto vale crearsi un sapere flessibile, no? Lo vedo anche dal lavoro che sto facendo ora, da cui traggo anche qualche soddisfazione oltre che il denaro necessario per studiare. Anche perché  l’aiuto da parte della mia famiglia non basterebbe certo a pagarmi gli studi e contemporaneamente la permanenza nella città che ho scelto per fare l’università. È un sacrificio, scegliere di stare lontani da casa, che comporta, appunto, il fatto di dover lavorare. Ma ne vale la pena: non sarei mai rimasto nel mio paese, vicino a Trento. Perché secondo me proseguire gli studi significa anche fare esperienza di vita nuova, affrancarsi dall’ambiente che ti ha visto crescere, prendere il largo e cavarsela da soli, lavatrici comprese”.
Matteo, 28 anni, dottorando di ingegneria dell’informazione. “Ho deciso di iscrivermi a ingegneria per puntare su qualcosa che mi desse un futuro professionale sicuro. In più mi piaceva molto l’informatica ed ero bravo nelle materie scientifiche. Poi ho deciso di continuare perché alla fine della specialistica, qui in Italia, ho ricevuto offerte di lavoro un po’ deludenti, non all’altezza delle mie competenze e così sono andato avanti. Il fatto è che sono stato un anno negli Stati Uniti e lì ho visto una realtà intellettualmente molto stimolante. È a quel livello che vorrei lavorare in futuro. Perchè c’è una crisi delle iscrizioni all’università? Studiare è faticoso, un grosso sacrificio, e in tanti pensano sia più facile fare soldi facilmente senza tanti sforzi. Magari vedono alcuni amici più grandi che lavorano, che hanno cominciato a guadagnare, che magari hanno una macchina costosa… e si chiedono: perché fare tanta fatica quando posso avere tutto subito?  Del resto è questo il messaggio con cui la tivù bombarda i ragazzi. Parlo per esperienza personale: ho un fratello che non ha neppure preso il diploma”.
Cristina, 27 anni, laureata in medicina, fuorisede. Ha appena passato l’esame di abilitazione professionale. È intenzionata a specializzarsi in gastroenterologia. “Ho sempre pensato che avrei fatto medicina e quando l’ho scelta non l’ho fatto perché era una laurea “sicura”, dal punto di vista professionale. Anche perché allora non era così. Perciò i miei mi hanno un po’ scoraggiata, allora, perché lo ritenevano un percorso lungo, molto impegnativo – anche finanziariamente – e avevano paura che mollassi. Beh, in parte avevano ragione: è stato molto faticoso, per me e anche per loro. Adesso sono contenta di avercela fatta, anche se la strada è ancora lunga.
Il problema maggiore che ho incontrato? Il fatto che l’università ti lascia completamente sola. A volte hai momenti di sconforto – io sono stata ferma quasi un anno – e devi farcela a superarli senza l’aiuto di nessuno. Poi ci sono cose organizzate proprio male: il più delle volte durante i tirocini obbligatori stai a girarti i pollici. Perché solo calate le iscrizioni all’università? Non ha molto senso faticare tanto se poi mancano gli sbocchi lavorativi. A meno che uno non voglia prendersi una laurea per sé, per crescere culturalmente… Ma questo è un altro discorso”.  

 

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