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Ogm? No, noi preferiamo prodotti naturali


Ogm

Chi vuole la “patata bollente”?

 

Dopo anni di stop le ambigue manovre per aprire l’Europa agli Ogm. La storia della patata Amflora e il ruolo dell’Efsa. Ma il governo italiano sembra intenzionato a dire no alla coltivazione di questi prodotti sul nostro territorio

 

L’Amflora è una patata geneticamente modificata di cui la Commissione europea ha autorizzato la coltivazione sul suolo europeo. Per l’esattezza è stato il commissario per la salute, lo sconosciuto maltese John Dalli, a dire sì per la prima volta a prodotti che però in realtà ben pochi vogliono, visto che circa i tre quarti dei cittadini europei sono contrari alla loro introduzione, così come molti governi. Ma parlare di Ogm significa anche parlare di business miliardari e di grandi multinazionali come Monsanto e Dupont.

Dietro Amflora (prodotto in sè poco significativo come racconteremo poi) sta dunque una guerra che dura da anni per far sbarcare nel vecchio continente, anche il mais e tutto ciò che l’industria Ogm offre. Sin qui l’Europa si era opposta, prendendo tempo, perchè esistevano opinioni diverse. Il tema, oltre ai controlli scientifici (punto delicatissimo come vedremo), era soprattutto quello di definire le norme per la coesistenza, tra coltivazioni tradizionali e quelle geneticamente modificate.

Ma torniamo alla nostra Amflora, perchè la sua storia è illuminante. Questa patata è stata sviluppata per l’industria della carta e dei collanti, per l’alimentazione animale e come fertilizzante, perchè capace di restituire il 20 per cento di amido in più. Il primo paradosso è che il gene introdotto all’interno della patata Amflora che conferisce resistenza ad almeno due antibiotici, non serve a migliorare le sue caratteristiche ma è solo uno strumento economico di selezione: una semplice scelta industriale che non ha nessun valore innovativo per la pianta. Però i marcatori genetici rimangono dentro la patata e finiscono nell’organismo degli animali che se ne nutrono.

«A questo punto, il rischio è che frammenti di dna transgenico possano entrare nel dna dei batteri gastrici ed intestinali ed indurre la resistenza agli antibiotici i quali diventano inefficaci – spiega Fabrizio Fabbri, direttore scientifico della Fondazione per i diritti genetici –. Per questo una normativa europea stabilì che a partire dal 2004 non si sarebbero potuti autorizzare Ogm che contenessero marcatori capaci di indurre resistenza ad antibiotici di importanza terapeutica in medicina umana o veterinaria». Viene dunque da chiedersi perchè i commissari europei abbiano dato via libera. Forse a Bruxelles pesano più gli interessi delle lobby che quelli dei consumatori?

Coesistenza impossibile

Oltre ai rischi per la salute, c’è poi la minaccia di disperdere patrimoni secolari di produzioni tipiche e biodiversità. Essendo organismi viventi, i pollini degli Ogm possono viaggiare per chilometri trasportati dagli agenti atmosferici e dagli insetti. Questo, bisogna dire, riguarda solo in parte la patata, che sta sottoterra. Ciò non toglie che quando un Ogm viene in contatto con una pianta tradizionale, finisce col passare le caratteristiche di resistenza al nuovo ospite, il quale diventa un Ogm a sua volta.

Ecco perchè la “coesistenza” tra colture tradizionali e colture geneticamente modificate è difficile da gestire.

È anche per questa ragione che il governo italiano ha varato un decreto (firmato il 19 marzo dal ministro dell’Agricoltura Zaia e, al momento in cui scriviamo, alla firma dei ministeri della Salute e dell’Ambiente) che, sulla base del parere unanime della Commissione interministeriale sulle sementi vieta la coltivazione degli Ogm in Italia. Nello specifico la Commissione si è pronunciata su un mais Ogm prodoto dalla Monsanto (Mon 810) e autorizzato dall’Unione europea che un agricoltore friulano voleva coltivare sulla base di una sentenza del Consiglio di stato. Il decreto va dunque oltre clausola di salvaguardia che un paese può invocare per decidere di non coltivare tanto la patata Amflora quanto gli Ogm in generale. «Al di là di quelle che sono le incertezze non ancora risolte sulla problematica degli Ogm la nostra posizione è quella di favorire le produzioni autoctone e naturali». Questa le parole del ministro della Salute Ferruccio Fazio, ribadendo quanto più volte detto dal suo collega con delega all’agricoltura Luca Zaia che firmando il decereto ha osservato come “nei paesi dove si vendono Ogm , i ricchi magiano bilogico e i poveri i cibi geneticamente modificati”.

Posizione che trova un consenso molto ampio anche da parte di tante associazioni del mondo agricolo, ambientalista e dei consumatori, preoccupate di non distruggere un patrimonio agrocolturale che non ha uguali al mondo. «L’Italia è il primo produttore di alimenti biologici a livello europeo e sarebbe davvero da idioti buttare a mare questo immenso patrimonio per coltivare delle cose omologanti su cui la scienza è divisa e che possono essere nocive per la salute», aggiunge Mario Capanna, presidente della Fondazione per i diritti genetici.

Se comunque l’Europa lascerà che gli Stati membri restino sovrani nella decisione su queste coltivazioni, gli occhi restano puntati sulle politiche comunitarie e sui processi decisionali che le guidano.

Storia di un tubero

L’Efsa è “la chiave di volta dell’U-nione europea per la valutazione dei rischi relativi alla sicurezza alimentare”. Così sta scritto nel sito dell’Authority europea che ha sede a Parma. Proprio per questa sua influenza è utile capire che cosa ha detto l’Efsa a proposito della patata Ogm. Nel rapporto pubblicato il 24 febbraio 2006 e aggiornato il 28 giugno 2008, sta scritto che “dopo l’estrazione dell’amido” che viene utilizzato nell’industria, “i sottoprodotti del-la patata Ogm, destinati eventualmente all’alimentazione animale, sono altrettanto sicuri di quelli della linea parentale non Ogm”. E pertanto, conclude il rapporto, “con ogni probabilità” questa patata “non avrà effetti avversi sulla salute umana, animale o sull’ambiente”. «Un’affermazione quantomeno ambigua dato che non può esserci parte della pianta e del suo frutto totalmente immune dalla presenza del Dna modificato», spiega Fabbri.

E anche la formula probabilistica con cui si chiude il rapporto non è rassicurante. «Ma l’Efsa lavora così, i suoi rapporti trascurano spesso dati fondamentali o li sottovalutano», commenta Fabbri. È esattamente quello che è successo nel 2004 quando l’Efsa dichiarò poco importanti ai fini terapeutici sia la karamicina sia la neomicina, come dire che, se anche diventiamo immuni a questi antibiotici non importa, tanto sono poco usati. Ma nel 2007 l’Ente europeo del farmaco (Emea) ha dichiarato che, stabilire l’importanza di un antibiotico sulla base dei volumi utilizzati, è un errore metodologico prima ancora che di merito. A questo punto la domanda è: ma l’Efsa quali ricerche ha condotto per decidere se dare parere positivo alle richieste delle multinazionali?

Gli interessi in gioco

«Nel 2007, in un incontro con i suoi massimi dirigenti – racconta Mario Capanna – venne fuori che l’Efsa non ha mai condotto e non conduce analisi scientifiche in proprio. Quando arriva una richiesta, l’Efsa si limita a controllare che la documentazione fornita dalla multinazionale di turno corrisponda alla pubblicistica scientifica, ma poichè la scienza è divisa, non si capisce a quali testi dia più credito. In conclusione l’Efsa fa da passacarte».

Accompagnati da questi inquietanti elementi, si scopre poi che della patata Amflora se ne potrebbe tranquillamente fare a meno. «Sul mercato sono infatti già disponibili patate convenzionali (non-Ogm), con contenuti di amidi quasi identici e senza geni di resistenza agli antibiotici», dice Maria Carla Giugliano di Greenpeace (sono state sviluppate dalla Europlant tedesca e dalla olandese Avebe). E sappiamo anche che il secondo produttore tedesco, la Emsslandstarke Gmbh, che muove annualmente 350.000 tonnellate di patate da amido non Ogm, ha dichiarato che a causa del rischio troppo alto di contaminazione non adotterà la patata Amflora. A questo punto dobbiamo farci una semplice domanda.

Se la patata che produce più amido esiste già in natura, se i rischi per la salute e per l’ambiente sono tutt’altro che trascurabili e se, come dimostrano studi recenti, le piante transgeniche producono tra il 7 e il 10 per cento in meno delle piante naturali, per quale motivo si vuole introdurre questo prodotto? «Il problema è che questi potenti concentrati economico-finanziari mirano al controllo dell’alimentazione mondiale – dice Capanna –. Quando una multinazionale ha in mano il monopolio dei brevetti impone al coltivatore un doppio giogo: ogni anno deve ricomprare i semi modificati e gli erbicidi per trattarli riuscendo così ad ottenere un doppio guadagno. Se il coltivatore viene trovato a trasgredire scattano sanzioni severissime. Tutto questo perchè le piante Ogm sono rese sterili e il coltivatore è obbligato a rifornirsi dei semi dalla multinazionale che detiene il brevetto». Il business è miliardario. E tutto questo senza nessun reale beneficio e con molti rischi per l’ambiente e la salute. È come se Dio si facesse pagare i diritti d’autore per il creato.


Aldo Bassoni

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