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“L’etica da ritrovare”


“L’etica da ritrovare”

Don Ciotti: “Siamo un paese in crisi civile”

 

Intervista al presidente di Libera che parla dell’Italia di oggi e della lotta alle mafie

 

“Abbiamo perso la dimensione etica, la corresponsabilità degli uni verso gli altri”. Parola di don Luigi Ciotti, il presidente di Libera, la realtà che raggruppa oltre 1.500 associazioni quotidianamente impegnate nella lotta contro le mafie. In queste settimane in cui gli scandali legati alla corruzione e a comportamenti privi di ogni etica, sono tornati prepotentemente alla ribalta nel nostro paese, ci è sembrato quasi doveroso chiedere una opinione a una figura che da anni si batte proprio per affermare principi di legalità e per la tutela dei più deboli.

Che fotografia farebbe della società italiana di oggi? Davvero l’etica comune, il senso civico e il rispetto delle leggi hanno fatti passi indietro in questi anni?

Quella che sta attraversando il nostro paese è, prima che una crisi economica, una crisi etica, politica e culturale. Oggi siamo tutti più poveri, ma poveri innanzitutto di diritti. Per uscirne dobbiamo allora fare tutti uno scatto, impegnarci tutti di più. Non possiamo restare indifferenti, o silenziosi, o rassegnati di fronte ai continui attacchi alla Costituzione o all’approvazione di “mostri giuridici” come il reato d’immigrazione clandestina. Queste misure ci colpiscono in prima persona perchè sono un attacco ai valori fondanti della nostra democrazia – primo fra tutti il principio di uguaglianza – e alle regole che tutelano e promuovono il bene comune. “Bene pubblico”, cioè di ciascuno di noi. Senza contare che tutto questo fa il gioco della criminalità organizzata, che nell’ingiustizia sociale trova da sempre terreno fertile ai suoi ricatti e manovre. Dobbiamo allora avere il coraggio di schierarci senza ambiguità contro qualsiasi “strappo” alle regole, contrastare l’idea di una giustizia a doppio binario, forte coi deboli e debole coi forti. La democrazia ha bisogno di questa consapevolezza, di questa “vigilanza” collettiva. E anche della coerenza e credibilità di chi esercita ruoli e funzioni pubbliche, che oggi viene troppo spesso meno.

Come si costruiscono i valori di difesa della legalità?

Io ho smesso da tempo di parlare di educazione alla legalità. Preferisco parlare di educazione alla responsabilità, anche perchè la legalità, in Italia, è spesso strumentalizzata e calpestata dagli stessi che dicono di volerla difendere. Serve invece un ritorno alla responsabilità, che significa adesione autentica a regole radicate nella coscienza e praticate nella quotidianità. È una grande sfida culturale, questa, da affrontare attraverso percorsi educativi rivolti soprattutto ai giovani, nella scuola e fuori. E che ci chiede di rompere il silenzio rispetto a tutto quello che non va e vediamo accadere proprio sotto i nostri occhi. Serve il coraggio della denuncia, ma che sia una denuncia seria, documentata, profonda, dalla quale far scaturire proposte capaci di dare speranza e costruire cambiamento.

Che legame c’è tra comportamenti diffusi nella società e ruolo delle organizzazioni criminali?

Provocatoriamente, si può dire che la mafia si “incontra” quotidianamente in diverse forme di comunicazione: trasmissioni televisive, spot pubblicitari, “fiction”, “reality show”, videogiochi. Alla base c’è sempre lo stesso messaggio: ciò che conta nella vita è il successo, la notorietà, l’apparenza, la forza, il possesso, il fare affari e l’affermarsi con ogni mezzo, anche a discapito degli altri. Sono, a ben vedere, gli stessi “valori” delle mafie, il cui scopo è sostanzialmente quello di arricchirsi e di schiacciare persone e territori tenendoli in ostaggio con la forza del denaro. Allora, senza confondere i piani, si può dire che tra l’individualismo insofferente delle regole e la cultura del crimine organizzato c’è un forte nesso. E che non possiamo sconfiggere le mafie senza un grande investimento educativo e culturale, senza combattere, prima, l’anestesia delle coscienze, l’interesse privato che distrugge quello pubblico, la superficialità degli atteggiamenti e delle informazioni, l’illusione che la vita possa avere significato senza relazioni vere, autentiche, responsabili. La lotta alle mafie richiede giustizia, ma la giustizia si fonda sempre sulla prossimità.

Pochi giorni fa si è svolta la XV giornata della memoria e dell’impegno per ricordare le vittime delle mafie. A che punto è oggi in Italia la lotta contro le mafie?

Prima di tutto voglio sottolineare che la Giornata della memoria è solo la tappa, simbolicamente importante, di un impegno educativo, sociale, culturale che dura 365 giorni all’anno. All’insegna di quella continuità che proprio Paolo Borsellino volle sottolineare all’epoca del “Maxiprocesso” a Cosa nostra nel 1987, quando sembrava che la mafia siciliana fosse sul punto di soccombere. «Non dovremmo concederci sosta alcuna nella lotta alla mafia – disse – non dovremmo consentirci allentamenti di tensione nè perniciose illusioni». A conferma dei suoi timori, la più recente relazione dei servizi segreti al Parlamento ci dice che la risalita delle mafie, dopo una fase di “inabissamento”, è già cominciata. Anche se è una criminalità diversa quella che ci troviamo di fronte oggi. Una mafia “imborghesita”, “dei colletti bianchi”, capace di fare e farsi impresa, di aprire varchi e stabilire complicità nel tessuto sociale. Le attuali inchieste non fanno che confermare quello che denunciamo da anni: che si sta allargando la “zona grigia” dell’illecito, i legami tra organizzazioni criminali, pezzi dell’economia e della politica. E che il grande lavoro dei magistrati e delle forze di polizia rischia di essere vano se non viene sostenuto e affiancato da un impegno sul piano culturale, educativo, sociale. Non possiamo pensare di sconfiggere solo per via giudiziaria un fenomeno che affonda le sue radici nella debolezza dei legami sociali, nell’aggressione e nello svuotamento dei valori costituzionali. La lotta alle mafie è una lotta per la democrazia, ed in tal senso si può parlare di una nuova resistenza. Serve una presa di coscienza collettiva simile a quella che, 65 anni fa, ha contribuito a liberare il nostro Paese da una dittatura allora politica oggi più culturale. Oggi come allora, però, appoggiata e alimentata dal torpore delle coscienze, da troppe sponde, complicità e neutralità.


Silvia Fabbri

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