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Le bugie della televisione

Le bugie della Tv

Dal caso della finta terremotata a Forum ai tanti reality proviamo a scoprire perchè il racconto della realtà in televisione non esiste più

"L’errore è stato inventarsi uno scenario non privato, ma pubblico. Mi spiego: se ricostruisco in modo fittizio una lite condominiale va anche bene, ma se dico che hanno ricostruito una città dopo un terremoto e invece non è vero, è vergognoso". Giorgio Simonelli, docente di giornalismo televisivo e radiofonico alla Cattolica, commenta così l’episodio di mistificazione accaduto a Forum nel marzo scorso, quando una finta terremotata inneggiava alla ricostruzione dell’Aquila. "Là si è cercato di creare una seconda realtà, aggiuntiva, e di accreditarla come l’unica esistente. Annullando completamente il confine tra vero e falso".
Un gioco sporco, insomma. Ma che funziona. "La televisione non solo rende vero ciò che è finto – prosegue Simonelli – ma rende finto ciò che è vero, tanto che se guardo durante un tg le fasi della cattura di Bin Laden potrebbero sembrarmi un film". Così sul piccolo schermo tutto diventa ambiguo. Una sorta di melassa non catalogabile. Tanto facile da poter scommettere che anche l’incredibile diventi credibile. Un esempio? Basta rivedersi alcune puntate della rubrica "Come lei saprà" (all’interno della trasmissione "G Day" su La7, con Geppi Cucciari). Luca Bottura, autore televisivo, l’ha pensata sul modello di quanto fanno alcuni tg, chiedendo commenti sulle notizie del giorno al cosiddetto uomo della strada. "Abbiamo sollecitato pareri su cose incredibili – spiega Bottura – pensando che nessuno ci avrebbe creduto. E invece…" Invece neanche un dubbio sfiora gli intervistati: neppure quando viene loro chiesto di commentare l’annullamento per brogli del referendum repubblica-monarchia e la conseguente proclamazione di Emanuele Filiberto II re d’Italia. O che venga costruito un monumento equestre a Mourinho per convincerlo a tornare all’Inter… Perché la televisione è più forte della realtà, o meglio: ci hanno abituati ad avere nei suoi confronti una fiducia incondizionata. "L’immagine è più forte di tutto – spiega Loris Mazzetti, capostruttura di Rai Tre – ed è per questo che bisogna maneggiarla con cura, la televisione. Attraverso la forza dell’immagine si possono vendere prodotti, idee, ideologie. Credo che la cosa più scorretta che oggi avvenga in tv è la spettacolarizzazione dell’informazione, la ricostruzione dei processi come se fossero fiction, con un attore al posto dell’indagato… tutto questo ci impedisce di capire se quel che guardiamo è vero o è falso". Secondo Giorgio Simonelli c’è anche di più: "Ormai in televisione il racconto della realtà è impossibile. Si è costruita una finzione che fa perdere ogni credibilità all’immagine".
Ma quando è iniziata questa storia? Anche Simonelli non ha dubbi. Il peccato originale è l’info-tainment, cioè la confusione tra informazione e intrattenimento: "Credo che tutto sia iniziato dal mescolamento di generi: oggi non esiste più distinzione tra una trasmissione in cui si racconta la realtà e quella in cui si fa fiction. I ragazzi di oggi sono tutti cresciuti con questa confusione e sono caduti nella trappola di una televisione che vuole essere l’unico punto di riferimento". "Sì, un tempo era impensabile – racconta Mazzetti – che un giornalista potesse intervistare un carcerato, un condannato, o anche solo un imputato. Erano gli stessi magistrati a impedirlo. Oggi i processi si fanno in tv". "L’informazione e l’intrattenimento – commenta Bottura – usano lo stesso linguaggio, hanno la stessa linea editoriale. Specie quando si rivolgono a pubblico ben definito per età, che sia giovanile o no".
E i reality? Saranno veramente reali, almeno i reality? Difficile crederlo. In isole, case, fattorie (ma anche ospedali!), le mosse dei partecipanti sembrano previste e anticipate da stuoli di autori che selezionano scene, sottolineano comportamenti, puntano su questo o quel concorrente. "Prendiamo ad esempio il Grande Fratello – suggerisce Bottura – e pensiamo a come vengono oggi selezionati i ragazzi. Prima erano rappresentanti dell’Italia post-bellica: il pizzaiolo, lo studente, l’operaio. Anche dal punto estetico erano normali. Non dovevano aver mai partecipato ad altre trasmissioni. Oggi sono tutti tronisti o veline, tutti con precedenti esperienze di spettacolo. Sanno di dover recitare, di dover interpretare dei personaggi. Sono veri rappresentanti di quella che viene chiamata la ‘mediaset generation’".
Ma è possibile credere nel Grande Fratello? In Forum? O nell’Isola? È possibile credere a certa informazione che porta in primo piano il gossip fino a trasformarsi in cabaret? Secondo Bottura "le persone più avvertite si rendono conto che non c’è verità, ma sono la minoranza. Il meccanismo della credulità non è dissimile a quello che nel passato ha fatto credere agli albanesi che l’Italia fosse il paese dei balocchi. Oggi si fa lo stesso con gli italiani, creando un modello taroccato di realtà a cui aspirare. Non per farli salire su un barcone, ma per portarli in cabina elettorale".
C’è una strategia dietro a questa mutazione genetica del linguaggio televisivo? C’è qualcosa che si intende ottenere, raccontandoci bugie come se fossero la verità (e viceversa)? Il sospetto – in un panorama televisivo senza eguali al mondo e con un duopolio che neppure l’avvento del digitale ha intaccato – c’è. "Non credo ai complotti – risponde Simonelli – e quindi più che di strategia parlerei di egemonia culturale. Dagli anni ’80 in poi ha vinto un certo modo di fare tv. Irrazionale, anti-illuminista, poco incline a suscitare riflessione, molto suggestiva e ambigua". Ma ci sono anche i motivi commerciali, perché certa tv fa più ascolti: "C’è un sacco di gente a cui piace guardare dal buco della serratura, anche se non lo ammette", dice Mazzetti. Ma soprattutto la tv fatta male costa meno: "Non c’è niente di più economico dei reality", prosegue Simonelli. Poca spesa, molto guadagno: Daniele Doglio, docente di economia dei media, ha calcolato che il marchio Grande Fratello (non solo la trasmissione serale, ma anche le strisce quotidiane e i lunghi non stop sul digitale) vale tra i 40 e i 50 milioni di euro l’anno di investimenti pubblicitari con punte di ascolto fino a 6 milioni di persone. La nuova formula di Grande Fratello – maggiore durata, massimo intervento degli autori – va così bene, in Italia, che la riprenderanno anche in Gran Bretagna dopo qualche stagione di assenza dagli schermi. Perché non si dica che la cattiva televisione è solo italiana.   
 



Silvia Fabbri

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