Beviamocela,
l'acqua del rubinetto è (ancora) buona
Tra caos tariffario e bisogno di investimenti per migliorare la rete e combattere gli sprechi, la qualità dei nostri acquedotti è mediamente buona
Buona, anzi, ottima. È l’acqua dei nostri rubinetti: controllata, sicura, economica, ecologica. Un bene da difendere, che oggi sprechiamo troppo e che nel futuro potrebbe non essere più garantito. Prima di tutto perché manca un’autorità pubblica unica che pianifichi gli interventi necessari a tutelare il ciclo dell’acqua e che pianifichi e garantisca i relativi investimenti che, secondo Legambiente, ammontano a circa 60 miliardi di euro. Perché l’acqua del Sindaco – come viene chiamata l’acqua "pubblica" in molte parti d’Italia – è seriamente minacciata: dalla legge sulla privatizzazione, contro cui sono state raccolte oltre un milione e 400mila firma, e da un modello di gestione che consente gli sprechi e ne minaccia la potabilità.
Ma per il momento è buona. "In Italia abbiamo un’elevata percentuale di acque di qualità", conferma Giorgio Zampetti, responsabile acqua di Legambiente. Anche il Wwf, con Andrea Agapito Ludovici, dice che non c’è motivo di preferire all’acqua di casa quella della bottiglia. "Informiamo i cittadini correttamente, e poi lasciamoli liberi di scegliere. È per questo che come Wwf siamo in sintonia con la campagna Coop. È assurdo che in Italia non si possa dar conto degli elementi positivi dell’acqua del rubinetto, che non si possa fare pubblicità in questo senso. È assurdo, per dire, che al ristorante io non possa avere l’acqua nella brocca, come accade in tutta Europa, senza litigare". Così, proprio per avere tutti gli elementi che consentano scelte a ragion veduta, continuiamo ad approfondire i temi legati alla campagna sull’acqua di Coop (di cui parliamo in una scheda in queste stesse pagine).
A testimonianza della qualità delle acque che sgorgano dai tubi di casa c’è che il 53% è di origine sotterranea, il 37% di sorgenti e solo il 10% da acque di superficie, come fiumi o laghi. Federutility, la federazione che associa le aziende di servizi pubblici locali, conferma infatti che in Italia "vi è una grande abbondanza di risorse idriche in molti casi di ottima qualità", spiega Renato Drusiani. "Acqua che viene controllata almeno da due soggetti, il gestore e l’Asl, e centinaia di volte all’anno. Inoltre – prosegue – l’acqua del rubinetto elimina le emissioni di CO2 in atmosfera connesse alla produzione, al trasporto e allo smaltimento delle bottiglie. Inoltre è acqua a ‘tempo zero’, o quasi, di permanenza a contatto con le pareti interne delle tubazioni, mentre l’acqua minerale può restare in circolazione fra magazzini e negozi, oltre un anno".
Dal punto di vista sanitario, le leggi assicurano tutti i controlli necessari anche sulle acque potabili: le norme prevedono, infatti, che debbano essere verificati più di 50 parametri tra fisici e microbiologici. Di fatto, l’acqua potabile distribuita dai rubinetti in Italia è normalmente di buona qualità e sicura da un punto di vista igienico. Tuttavia il suo sapore può variare da luogo a luogo come conseguenza dei trattamenti di potabilizzazione che subisce.
Certo, non sempre l’acqua del rubinetto è buona, e non solo a proposito del sapore. Ha spesso suscitato giustificati allarmi presso i cittadini il sistema delle deroghe, ovvero quelle particolari autorizzazioni chieste da alcune Regioni italiane circa la possibilità di continuare a erogare un’acqua i cui livelli (di arsenico o boro, fluoro o nitrati) superano quelli fissati da una norma nazionale di derivazione comunitaria. Problemi che in parte derivano dall’origine vulcanica di molte sorgenti o da un eccesso di sostanze chimiche utilizzate in agricoltura. Secondo la legge le deroghe possono venire concesse a due condizioni: la presentazione di un piano di intervento per riportare le acque entro i limiti di legge e l’impegno a informare i cittadini. "A parte che dal 2010 non verranno più rilasciate – spiega Zampetti di Legambiente – il sistema delle deroghe sarebbe una garanzia per il cittadino, perché chiedere una deroga è molto impegnativo e inoltre pretende molto anche sul fronte della trasparenza, perché su questi temi non si deve fare allarmismo. Purtroppo, specie per quest’ultimo punto, non sempre è stato fatto abbastanza". "In questi ultimi anni – conferma Drusiani di Federutility – sono stati certamente ottenuti risultati nel miglioramento della qualità dell’acqua distribuita. Questo ha consentito il superamento di diverse deroghe ai parametri europei, anche se ancora molto rimane da fare. In questo periodo sono stati anche introdotti nuovi sistemi di disinfezione e incrementata l’attività dei laboratori".
Oltre che salubre, l’acqua del rubinetto è anche economica. Secondo una stima, l’acqua in bottiglia costa circa 30 centesimi al litro. Se consideriamo il consumo medio procapite italiano di 195 litri a persona una famiglia di tre persone spende circa 175 euro l’anno in acqua minerale e, sempre di media, spende 260 euro l’anno per tutta l’acqua del rubinetto che utilizza (comprese fogne e depurazioni). In sostanza, il costo dell’acqua del rubinetto può essere fino a 600 volte inferiore rispetto all’acqua minerale.
C’è da dire che non in tutta Italia l’acqua del rubinetto costa allo stesso modo e il caos tariffario – la differenza di trattamento tra cittadini di uno stesso paese – è uno degli elementi che renderebbero necessaria l’istituzione di un’autorità unica. E non si tratta solo del costo a metro cubo, ma di come viene composta la bolletta. Ad esempio: in alcune città si premia chi risparmia (Bologna, Terni e Trieste), in altre no. In alcune città ci sono agevolazioni tariffarie per le fasce socialmente deboli, in altre no. Comunque, in base ai risultati della 8° Indagine nazionale a campione sulle tariffe del servizio idrico in Italia, condotta da Federconsumatori, c’è una certa omogeneità nella struttura delle bollette: in tutte le città viene applicata una quota fissa, sono applicate diverse tariffe secondo fasce di consumo, si paga il servizio di fognatura e la depurazione. Perciò grossomodo sono confrontabili, tanto che se ne può ricavare che – sempre in base all’indagine nazionale a campione – per un consumo annuo pari a 200 metri cubi l’utente domestico, nel 2009, ha pagato mediamente 285,37 euro l’anno, ovvero 1,43 euro al metro cubo. La media nasconde realtà significativamente diverse: infatti a Milano la bolletta annua è di 107 euro, a Lecco è di 121, ad Arezzo 435, a Livorno 412. Insomma, rispetto alla città meno cara (Milano), quella più costosa (Firenze), ha una bolletta di 4 volte superiore. L’indagine rileva anche che mediamente dal ’98 al 2010, le bollette sono cresciute dell’85%. Federconsumatori chiede dunque non solo di rendere più omogenee le tariffe, ma anche di premiare i consumi responsabili e sostenibili penalizzando gli sprechi.
Resta però il fatto che l’acqua italiana costa poco. "Il prezzo medio a metro cubo resta tre volte più basso che in Francia, e quattro volte più basso che in Germania – spiega Legambiente – perciò, fatto salvo l’accesso universale al servizio e quindi la garanzia della fornitura di un minimo vitale per ciascuno, il prezzo dell’acqua va fissato a un livello che tenga conto che si tratta di un bene scarso, finito, probabilmente destinato a scarseggiare sempre di più a causa dei cambiamenti climatici e quindi da consumarsi parsimoniosamente".
Anche perché tariffe così basse non aiutano certo a mettere in campo quegli ingenti investimenti di cui avrebbe bisogno la rete idrica, sia dal punto di vista del miglioramento della qualità (in caso di richiesta di deroghe), che da quello delle dispersioni. "In generale – spiega Giorgio Zampetti di Legambiente – la dispersione in sé non è uno spreco in senso assoluto, nel senso che l’acqua che viene perduta viene in gran parte riconsegnata all’ambiente. Se però si arriva al 50% e oltre, allora è un problema, anche perché in zone dove accade così, come ad Agrigento, c’è poi il razionamento". Ingenti investimenti sarebbero necessari per migliorare ed estendere a tutti gli italiani gli impianti di depurazione. Secondo una stima di Legambiente il 30% degli italiani, cioè 18 milioni, scaricano direttamente nei fiumi e nei mari (e proprio per questo Federconsumatori chiede che venga restituito il canone di depurazione a chi non ne usufruisce, sulla scorta di una sentenza della Corte costituzionale), mentre il Wwf, nel suo censimento di 29 corsi d’acqua italiani, ha scoperto scarichi a cielo aperto. "Ormai – spiega Zampetti – abbiamo tecnologie che ci consentirebbero di differenziare gli scarichi, in modo da non sprecare acque sostanzialmente pulite, oppure di non utilizzare acque potabili per gli scarichi dei bagni. Tutti i nuovi edifici dovrebbero poter essere costruiti così".
Ma per tutto ciò torniamo al tema degli investimenti. E dunque alla necessità di istituire un’unica autorità pubblica che possa programmare, attuare e controllare questi investimenti e relativi interventi. "Vincolando gli aumenti tariffari – conclude Zampetti – a un effettivo miglioramento del servizio. Con la privatizzazione, infatti, sarà ben difficile che chi avrà la gestione degli impianti si faccia carico dei necessari interventi su impianti tanto malandati quanto quelli italiani".
Silvia Fabbri