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Invisibili al fisco: evasione oltre i 100 miliardi


Evasori e c.
I miliardi mancanti nel paese "senza ricchi"

Sperando di non far venire l’ulcera a chi le tasse le paga regolarmente (né volendo far discorsi che generalizzano le responsabilità in maniera troppo sbrigativa) stavolta è proprio di tasse e soprattutto di evasione fiscale che vorremmo parlare. Non che il tema sia inedito. Tutt’altro: ci confermiamo come il paese dove l’evasione complessiva continua a viaggiare a cifre record oltre i 100 miliardi annui, dove intere categorie professionali dichiarano redditi davvero da fame, dove solo lo 0,95% della popolazione ha un reddito oltre i 100 mila euro e dove, secondo lo stesso Ministero dell’economia, facendo la media, per ognuno dei circa 42 milioni di contribuenti italiani, ci sono 2.093 euro di redditi non dichiarati. E, nonostante promesse e giuramenti del governo, i condoni, anche in queste settimane, rispuntano inesorabili come possibili disperate soluzioni per far cassa (al momento in cui scriviamo i contenuti del Decerto sviluppo, in cui il condono potrebbe essere inserito, non sono ancora noti ndr).
Qualcuno dirà: niente di nuovo. Esatto, ma dato che arrendersi alle cattive abitudini (di qualcun altro) non fa mai piacere, specie in tempi di crisi assai pesante, il problema torna d’attualità. Questo anche perché buona parte dei destini della manovra varata a fine estate sono legati ai successi nella lotta all’evasione fiscale. Cioè se si recuperano soldi da lì bene, altrimenti tutti quanti dovremo rimettere mano al portafoglio.
Con scarsa credibilità, dopo anni di un approccio al problema che ha più volte strizzato l’occhio a chi si riteneva in diritto di non pagare il fisco, ora il governo annuncia che farà la faccia dura e si metterà in caccia. Peccato che mentre gli spot radio e tv additano al pubblico disprezzo l’evasore-parassita, come detto, si riparla di condoni.
Ma partiamo dalle cifre. Secondo le stime proposte dall’Associazione contribuenti italiani (sulla base di dati elaborati dalla Krls Network of business ethics), nel 2010 l’evasione fiscale in Italia è cresciuta del 13,1%, raggiungendo l’astronomico volume complessivo di 180,3 miliardi di euro, pari al 51,1% di imposte sottratte all’erario. Una montagna fatta di almeno cinque strati.
Si parte dall’economia criminale, che vede mafia e camorra affiancate da gruppi stranieri sempre più presenti anche nelle ricche regioni del nord. E qui, secondo la stima, siamo a 78,2 miliardi di evasione.
Poi c’è il fenomeno dell’economia sommersa, con un esercito di lavoratori in nero aumentato per colpa della crisi, in cui ai tanti stranieri si mescolano anche sempre più italiani. Anche perché si stima siano 850 mila le persone che pur avendo un posto fisso svolgono una seconda attività. Totale, l’economia sommersa produce un buco per l’erario di altri 34,3 miliardi di euro.
La terza voce è rappresentata dalle imprese (escluse quelle di più grandi dimensioni). Secondo l’associazione dei contribuenti, il 78% di queste aziende dichiara redditi negativi o comunque meno di 10 mila euro. E da qui arriva un ulteriore danno di 22,4 miliardi. Poi ci sono le big company, che in molti casi hanno chiuso con conti in rosso. O mirano a spostare la tassazione su società satellite da loro controllate, magari operanti in altri paesi fiscalmente più "morbidi". E qui il mancato incasso per l’erario nostrano è di altri 37,2 miliardi.
Buoni ultimi sono poi i lavoratori autonomi o i commercianti che non emettono scontrini, ricevute e fatture. E sono gli ultimi 8,2 miliardi di euro che completano la nostra montagna.
Anche considerando questa stima complessiva da 180 miliardi come abbondante e ben sapendo che alcuni fenomeni non si cancellano certo in pochi mesi, è del tutto evidente che ampi margini per recuperare evasione ci sono.
Se infatti si guarda al problema partendo dai redditi dichiarati, scoprire che in Italia il peso di quanto pagano, sul totale delle imposte riscosse, gli imprenditori è sceso dal 13,2% del 1993 al 5% del 2007 e quello dei liberi professionisti dal 7,6% (sempre del 1993) al 4,2%, fa urlare allo scandalo.
Sembra un’Italia rovesciata rispetto alla realtà. In decenni in cui salariati e pensionati hanno visto erodere il proprio reddito reale, sono proprio loro che finiscono col pagare sempre più tasse. Mentre quelle categorie dove è immaginabile sia finita gran parte di quella ricchezza originata dalle rendite finanziarie e patrimoniali (un fenomeno che ha segnato gli ultimi vent’anni), sono riuscite a ridimensionarsi se non a svanire davanti agli occhi del fisco. Per chi avesse dubbi citiamo uno studio di Bankitalia: "la ricchezza media di un lavoratore dipendente è 122 mila euro, quella di un lavoratore autonomo, imprenditore o libero professionista è 290 mila euro".
Del resto, sembra quasi surreale, non tanto (ri)scoprire che in Italia il reddito medio complessivo su 42 milioni di contribuenti è di 19.030 euro (basta pensare che il 50% delle pensioni erogate dall’Inps è inferiore ai 1.000 euro al mese), ma vedere che, tra i neanche 400 mila che dichiarano più di 100 mila euro, i lavoratori dipendenti e i pensionati sono la grande maggioranza, mentre i lavoratori autonomi sono solo il 20% e gli imprenditori appena il 5%.
Un’idea più precisa di queste "stranezze" viene guardando le annuali classifiche di reddito per tipologia professionale. In testa (sui redditi del 2009) stanno i notai (che superano i 400 mila euro), seguiti dai farmacisti (con 126 mila). Scendendo si trovano gli avvocati (49 mila), i dentisti (45 mila) e poi giù sino a gioiellieri e orologiai (15.800), tassisti (13.600) e parrucchieri e barbieri (10.400). Basta dividere per 12 e vedere che reddito mensile ne vien fuori…   
 



Dario Guidi

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