Inflazione nemico da combattere
Pesano gli aumenti di prezzo delle materie prime. Tassinari (Coop Italia): "Occorre sostenere i consumi delle famiglie con interventi mirati. Noi siamo in prima linea ma serve l’impegno di tutta la filiera e anche del governo"
Al supermercato te ne accorgi meno, specialmente se è Coop, ma il termometro dell’inflazione sale inesorabilmente verso l’alto. E le ricadute sul costo della vita in generale, sui beni di prima necessità, e persino sui prodotti base della nostra alimentazione quotidiana come il pane e la pasta, rischiano di farsi sempre più pesanti. Sarà per via del caro petrolio, per i vertiginosi e continui aumenti dei prezzi delle materie prime cerealicole, sarà per le rivolte del nord Africa, il consumatore italiano spesso non capisce da cosa dipende che il suo stipendio non basta più per fare una spesa decente, e talvolta per far quadrare i conti deve rinunciare alla qualità.
I prezzi degli alimentari hanno iniziato a crescere dalla fine del 2010. A farne le spese su scala mondiale sono soprattutto i paesi più poveri. Il mais e il grano che aumentano di oltre il 70 per cento in un anno significano la fame per altri 44 milioni di esseri umani. Ma anche da noi le ricadute del problema ci sono.
Il malessere delle famiglie
«Due cose ci preoccupano – dice Rosario Trefiletti, presidente nazionale di Federconsumatori –. Innanzitutto questi aumenti comportano una drastica riduzione dei consumi delle famiglie. In più si stanno spostando sempre di più verso una riduzione della qualità dei prodotti per risparmiare. E quindi, oltre al malessere delle famiglie costrette a tirare la cinghia, la conseguenza di tutto questo è una contrazione del ciclo produttivo e la chiusura di esercizi commerciali che poi si ripercuote anche sul settore agroalimentare con una ricaduta ancora peggiore su chi produce qualità». Con buona pace della tanto agognata "ripresa" di cui non si vede per ora nessun segnale.
«È urgente sostenere i consumi e di aiutare le famiglie – dice Vincenzo Tassinari, presidente del Consiglio di Gestione di Coop Italia –. Questa deve diventare una priorità per tutte le imprese della filiera. Ma deve essere una priorità anche per la politica e per il governo, come avvenuto in altri paesi come Germania e Stati Uniti». L’andamento del 2011 si sta infatti confermando decisamente complicato. Alla crisi economico-finanziaria che continua a pesare e con una disoccupazione che non accenna a diminuire, si aggiunge l’impennata dei prezzi delle materie prime.
«È un fenomeno mondiale che riguarda tanto il petrolio quanto molti prodotti alimentari, aggiunge Tassinari –. Abbiamo denunciato questo pericolo in tutta la sua portata già nello scorso settembre. E purtroppo avevamo ragione: siamo di fronte a una ripresa dell’inflazione, arrivata al 2,6 per cento, ora certificato pure dall’Istat e al rischio di ulteriori aumenti specie in campo alimentare. In questo contesto è evidente che i consumi delle famiglie tendano a contrarsi. E ad essere più colpite saranno le fasce con reddito più basso».
Le organizzazioni degli agricoltori parlano di vera e propria "emergenza alimentare" che però non si risolve con i prezzi bassi all’origine. L’aumento del costo delle materie prime infatti risente anche dei movimenti di capitale e della speculazione che non si fa scrupolo di provare a lucrare sulla pelle della gente.
In altre parole, accanto alla scarsità oggettiva di cibo dovuta all’aumento della domanda da parte dei paesi emergenti, c’è la potenza distruttrice di quella finanza speculativa che ha già fatto danni enormi alla nostra economia e che ha ripreso ad imperversare grazie all’abbondanza di liquidità in circolazione. «Il fenomeno di una generalizzata scarsità di cibo esiste ed è destinato a durare per un po’, fino a quando non aumenterà la produzione per adeguarsi ai nuovi livelli di domanda – spiega Emiliano Brancaccio, docente di economia all’Università del Sannio –. A questo si aggiunge però anche un fenomeno speculativo dovuto al fatto che, al crescere dei prezzi, si verifica una aspettativa di ulteriore crescita che spinge gli operatori finanziari a fare stoccaggio di dotazioni di cereali che a sua volta genera scarsità e quindi nuovi aumenti dei prezzi che generano profitti enormi».
Difficile valutare quanto incida la speculazione finanziaria sugli aumenti dei prezzi delle commodities alimentari, ma alcuni economisti sostengono che se gli Stati praticassero una politica di stoccaggio delle materie prime che facesse da contraltare all’azione degli speculatori immettendo sul mercato le materie prime sotto attacco speculativo, i prezzi potrebbero stabilizzarsi e comunque oscillare entro limiti più accettabili.
L’impegno Coop
Chi si fa carico per ora di contenere gli effetti devastanti dell’inflazione è soprattutto la grande distribuzione, con in testa Coop che, di mese in mese, di fronte agli indici Istat che si muovono attorno al due per cento, restituiscono ai soci uno scontrino medio addirittura più basso dello 0,3 per cento.
Questo grazie a continue promozioni e offerte commerciali concentrate soprattutto sul prodotto a marchio che sta riscuotendo fra l’altro molto successo tra i consumatori. «Come Coop siamo da sempre impegnati nel contenimento di ogni aumento e nel sostegno di un’offerta attenta alla tutela del potere d’acquisto e continueremo con determinazione a fare la nostra parte – ribadisce Tassinari –. Crediamo però che anche le industrie debbano rendersi conto che, anche se si è di fronte ad aumenti delle materie prime importanti e innegabili, occorra fare ogni sforzo per non scaricare tutto ciò sul consumatore. Anche perché se il consumatore non ha i soldi in tasca, i prodotti restano sugli scaffali».
La ripresa dei consumi, insomma, non verrà da sé. «Non si può ipotizzare una fuoriuscita dalla crisi solo basandosi sulla ripresa delle esportazioni – sostiene Trefiletti –, bisogna incrementare i consumi interni attraverso l’aumento del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati tramite la leva della detassazione fino ad un reddito di almeno 25 mila euro. Bisogna fare insomma una grossa operazione di redistribuzione del reddito e solidarietà sociale tassando le rendite e i grandi patrimoni».
In effetti il problema della crescita dei prezzi dei beni primari esiste, ma se lo guardiamo in termini storici non è che in questa fase registriamo aumenti più alti per esempio di quelli degli anni 70. Chi ha vissuto quegli anni ricorderà senz’altro un’inflazione a due cifre. Ma allora i salari erano protetti da un meccanismo automatico di salvaguardia, la scala mobile, che poi è stata abolita, e ora, anche aumenti minimi producono effetti devastanti sul tenore di vita di chi vive di un solo reddito o di una modesta pensione.
«Oggi il problema è che i salari e le pensioni non crescono, sono stagnanti e declinanti al punto tale che sono tra i più bassi d’Europa – spiega Brancaccio –. E quindi anche minimi incrementi diventano un fattore critico per tanta gente». Non dimentichiamo, infatti, che il 50 per cento delle famiglie vive con meno di 1.900 euro e il 14,6 per cento non arriva a fine mese. I morsi della crisi, insomma, si fanno sempre più stringenti, e in mancanza di politiche per lo sviluppo e di sostegni concreti alle famiglie, rischiano di diventare molto dolorosi.
Aldo Bassoni