Immigrati? No, consumatori
Gli stranieri in Italia valgono l'8% del Pil, fanno la spesa e pagano le tasse. Sono insomma una risorsa importante per la nostra economia. Anche in tempo di crisi
Sapevamo che dopo le rivolte in Egitto, Tunisia e Libia sarebbero arrivati i barconi dei disperati alla ricerca di asilo. E con loro le tragedie del mare, i disagi e le sofferenze. Eppure il nostro paese si è fatto trovare ugualmente impreparato.
Ma, mentre litighiamo con Francia ed Europa su come affrontare la nuova ondata migratoria, in Italia vivono ormai stabilmente quasi 6 milioni di stranieri. Alcuni sono diventati imprenditori, come Radwan Khawatmi, un siriano che "ce l’ha fatta" e che, come tanti altri, ama definirsi "nuovo italiano". Ha fondato un’azienda che oggi conta più di 500 dipendenti e fattura oltre 50 milioni di euro lanciando nel mondo il made in Italy. Anche Edith Elise Jaomazava ha fondato un’azienda. Importa spezie dal Madagascar, sua terra d’origine, dove ha 200 dipendenti.
Entrambi hanno vinto il The MoneyGram Award, un premio nazionale all’imprenditoria immigrata giunto quest’anno alla sua terza edizione. Non tutti ovviamente riescono a emergere come Radwan e Edith, ma tutti contribuiscono alla ricchezza del paese. Lavorano, allevano figli che vanno a scuola, fanno la spesa tutti i giorni, acquistano case, telefonini, televisori, automobili. Insomma spendono.
Lo sanno bene le aziende che incominciano a elaborare nuove strategie di marketing e comunicazione rivolte proprio alla vasta platea di clienti arrivati dall’estero con le loro abitudini di consumo, i bisogni, le ambizioni di una popolazione mediamente molto più giovane di quella italiana.
Conti alla mano, gli immigrati partecipano al Prodotto nazionale per oltre l’8 per cento. Pagano le tasse e contribuiscono a tenere in piedi lo stato sociale al quale – essendo mediamente più giovani degli italiani – danno più di quello che ricevono, come ben sanno all’Inps.
Secondo gli ultimi dati Istat riferiti al gennaio 2010, oltre un milione degli stranieri residenti ha meno di 18 anni e ben 600 mila sono nati qui. In Italia, poi, vivono e lavorano regolarmente circa 2 milioni di donne adulte che ogni giorno fanno la spesa al supermercato. La metà sono colf e badanti che fanno acquisti anche per la famiglia nella quale assistono l’anziano. Sono loro che decidono spesso cosa e dove comprare. Per le aziende che producono, pubblicizzano e vendono i loro prodotti, colf e badanti sono di fatto "responsabili di acquisto".
E così, mentre si discute di respingimenti ed emergenze umanitarie, c’è una realtà ormai consolidata di nuovi residenti provenienti da ogni parte del mondo che non solo stanno cambiando la geografia culturale del nostro paese, ma impattano fortemente sulla nostra economia, sulle abitudini di acquisto e sui consumi.
«Nonostante la crisi, la spesa media degli stranieri è in aumento – spiega Giuseppe Albeggiani, amministratore delegato di Etnocom, una società di comunicazione etnica che vanta tra i suoi clienti i nomi più importanti dell’imprenditoria italiana –. Inoltre aumenta la quota di popolazione che vive in Italia da oltre tre anni, questo significa che hanno un reddito, magari modesto ma consolidato, che la famiglia si costituisce e arrivano i figli».
Lo stereotipo dell’immigrato che manda tutti i soldi a casa è falso. Secondo dati del Ministero dell’interno e di Western Union, solo l’11 per cento del reddito degli stranieri torna al paese d’origine. Il resto rimane in Italia. «Un altro stereotipo da superare è quello dello straniero miserabile che va al discount – continua Albeggiani –. Se uno ha il discount sotto casa ci va, altrimenti va al supermercato con l’ambizione di emulare lo stile di vita occidentale».
Nonostante questa realtà, quando si parla di immigrazione la prima reazione di molti è spesso legata al timore di un aumento della delinquenza. «Affermazioni così generali non sono provate – risponde Franco Pittau, responsabile del rapporto Caritas Migrantes –. Anzi, abbiamo scoperto che, confrontando per classi di età, i tassi di criminalità fra stranieri e italiani sono identici. Non solo, la percentuale di reati commessi da stranieri arrivati negli ultimi tre anni è inferiore a quella di chi è già residente. E inoltre è documentato che la criminalità in Italia sta regredendo». Insomma, cose che non hanno fondamento. Ma c’è chi alimenta la paura ed ecco spiegato perché il 60 per cento degli italiani sono indotti a credere che gli stranieri delinquano più degli italiani.
«L’integrazione è una prospettiva necessaria e contrastata, come quella famosa romanza che dice "vorrei e non vorrei" – spiega Pittau –, sappiamo che l’immigrazione è necessaria ma non la accettiamo, o meglio, se ne accetta solo la funzione economica ma poi prevale l’idea che chi è differente come provenienza, cultura, religione non si possa inserire nella nostra realtà. Così, quando un impresario ha bisogno di un lavoratore prende un immigrato, però quando si passa alla società allora all’immigrato si dice tu non puoi diventare italiano».
In pratica si nega loro la cittadinanza, come è accaduto ai meridionali che andavano al Nord negli anni Cinquanta e poi, piano piano, si sono integrati. Le culture, insomma, si devono incontrare. Magari anche a tavola. La "contaminazione", ovviamente, funziona in entrambi in sensi.
«Io penso proprio che assisteremo a un fenomeno analogo a quello accaduto con l’immigrazione meridionale al Nord – dice Francesco Cecere, direttore Marketing di Coop Italia –, e quindi ci sarà una lenta ma ineluttabile integrazione. Anche perché le famiglie si combinano e le abitudini alimentari tendono per forza a fondersi e così ingredienti e cibi della loro tradizione entreranno nella nostra e viceversa. Insomma, l’integrazione avverrà anche a tavola».
Aldo Bassoni