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Il Mazzafegato dell’alta val di Tevere

La proposta del mese di Slow Food

Il mazzafegato del Tevere

Questo insaccato che ha la sua zona di origine nel centro Italia, trova la sua massima espressione nell’area dell’alta valle del Tevere, al confine tra Umbria e Toscana. In quest’area il mazzafegato, altrimenti detto sanbudello nella Valtiberina toscana, è stato fino a qualche decina di anni fa un parente "povero" della salsiccia, immancabile sulle tavole in autunno e inverno, legato fortemente alla tradizione della norcineria casalinga. Ogni famiglia che possedeva suini, nella stagione della macellazione dei maiali produceva mazzafegati da consumare subito o da conservare sotto strutto, sott’olio, oppure nel grano o nella semola.
Preparare e consumare insieme i mazzafegati alla fine della lavorazione del maiale, è frutto dell’esperienza e della tradizione di ogni famiglia: a parte gli ingredienti di base – le carni rosse, più ricche di sangue, altrimenti non utilizzate – il tipo di speziatura varia secondo il produttore, ognuno custodisce i propri segreti, tramandati oralmente in ogni comunità.
Il mazzafegato è l’ultimo salume che si prepara, dopo aver lavorato tutti gli altri, quando rimangono sul bancone le ultime parti della macellazione, la cosiddetta "ripulitura di banco". Le carni vengono tritate grossolanamente, addizionate di una piccola parte di cotenna e di fegato e conciate con sale, pepe, piccole quantità di aglio, scorza di limone e/o arancio e soprattutto fiori di finocchio che, assieme alla grana grossolana, caratterizzano fortemente questo salume. L’impasto viene poi fatto riposare e insaccato nel budello naturale di suino detto "torto". La legatura avviene manualmente, con lo spago: si formano piccole salsicce di 10 centimetri di lunghezza e circa 3 di diametro, che sono poi lasciate asciugare per circa 7-10 giorni dopo di che sono pronte per il consumo. La tradizione prevede la cottura alla brace, accompagnandole con erbe di campo cotte e saltate.

Oggi la produzione di mazzafegato non è più diffusa come un tempo, la difficoltà di trovare un pubblico preparato ai sapori complessi ha portato al declino questo insaccato, che rischiava di scomparire sulle tavole non solo degli abitanti dell’alta valle del Tevere ma anche di altre zone del centro Italia dove, con altri nomi e altre ricette, si era ben radicato. In Umbria, tra Città di Castello e Umbertide, alcuni norcini non hanno mai interrotto la produzione, supportati da una piccola parte della comunità che non ha mai abbandonato il consumo dei mazzafegati. 

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