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“Il Grande Fratello? Se c’è non si occupa di noi”

"Il Grande Fratello?
Se c'è non si occupa di noi"

Intervista al professor Lucio Picci, docente dell'Università di Bolgna, esperto di innovazione tecnologica
 
La rete è ritenuta ormai essenziale per la vita delle persone. Ma con l’aumentare del suo peso e del suo potere aumentano i problemi che essa ci pone. Ne parliamo Lucio Picci, professore di economia all’università di Bologna, che si occupa di governance pubblica e innovazione tecnologica.

Internet può essere ritenuto il tramite per nuovi modelli di partecipazione? Anche in Italia?
Nelle recenti elezioni amministrative e nel voto per i referendum, per la prima volta in Italia Internet ha ricoperto un ruolo determinante. Non soltanto per coordinare iniziative politiche, ma anche per definire, dal basso, una "narrativa" vincente, segnata da un’ironia dissacrante che ha smontato la macchina comunicativa di Berlusconi. Penso, per esempio, ai manifesti taroccati che dichiaravano Pisapia responsabile di qualsiasi nefandezza, o ai video di "Sora Cesira".
Attenzione però: tutto questo non avrebbe funzionato se gli italiani non fossero finalmente stanchi di Berlusconi: Internet è certo uno strumento potente, ma non un deus ex machina. E non sempre ha effetti positivi: per esempio, permette di formare comunità molto segmentate e incoraggia quel che gli esperti chiamano le "camere dell’eco": luoghi di discussione frequentati da persone che la pensano tutte allo stesso modo. Ma la democrazia si nutre della discussione che segue il disaccordo, e non dalla sensazione anestetizzante che riceviamo da chi la pensa esattamente come noi.

 Anche la politica si è accorta del potere di internet e al G8 si è svolta una specifica sessione dedicata a questo tema. Come pensa che accadrà? La rete si svilupperà liberamente o la politica stabilirà vincoli?
I partiti politici italiani, che sono controllati da persone di una certa età e che negli ultimi vent’anni non hanno dimostrato nessuna lungimiranza in quanto ad Internet, utilizzano la rete poco e male. Anche per questo le novità interessanti di cui dicevo si sono originate dal basso. Per quanto riguarda le condizioni generali di utilizzo della rete, nei paesi democratici, dove la censura fortunatamente è improponibile, il problema chiave riguarda le condizioni di accesso. Dobbiamo garantire la cosiddetta "neutralità della rete": è una condizione perché i cittadini possano non solo ricevere informazione creata da altri, ma anche trasmettere, con pari condizioni, i contenuti che creano loro. Solo così la rete potrà continuare ad essere un ambito di sperimentazione prima, e di attuazione poi, di nuove forme di creatività e di partecipazione politica e civica.

È possibile continuare a considerare la rete un territorio libero, di frontiera, quando in verità è terreno di monopoli, scontri commerciali, enormi guadagni?
Al momento lo è: sotto questo punto di vista, viviamo in un’epoca fortunata. Gli interessi commerciali hanno contribuito semmai alla crescita e alla diffusione della rete. Vi è stata una simbiosi positiva, e gli appetiti economici non hanno pregiudicato lo spazio di libertà. In certi paesi, come in Cina, sono semmai stati gli "appetiti politici" a creare un’odiosa censura.

È ancora possibile la tutela della privacy?
Dobbiamo mantenere alta la guardia. Ma sotto la spinta della pubblicità totale di Internet il concetto di privacy è in corso di ridefinizione. Tra vent’anni, la parola privacy significherà qualcosa di almeno un po’ diverso rispetto ad oggi. Per cui, guardia alta, ma elasticità, per evitare di condurre battaglie perse in partenza.

Cosa può fare il singolo per non essere alla mercé di chi maneggia i suoi dati, a scopi commerciali o di controllo politico?
Concretamente, può decidere di rendersi il più possibile invisibile. Non iscriversi a siti come Facebook; non pubblicare su Internet informazioni personali o fotografie.
A mio avviso, però, almeno per chi non è una personalità pubblica, il problema non è tanto il controllo puntuale che può aversi su un individuo. Per quanto possa offendere la nostra vanità, rendiamoci conto che il Grande Fratello, se esiste, non ha tempo per occuparsi di noi singolarmente. Semmai, il problema è che i padroni delle grandi piattaforme, attraverso tecniche cosiddette di data mining, oggi possono avere un’inedita visione su ampi ambiti di relazioni sociali. Per esempio, chi gestisce Facebook può seguire i movimenti di centinaia di milioni di persone, e le relazioni di vario tipo che si instaurano tra i membri di una rete di "amici". Si tratta di informazioni potenzialmente interessante per i servizi segreti (per i quali, paradossalmente, diventa interessante prender nota non solo di cosa fa chi è presente, ma anche di chi ha deciso di non esserlo). E l’FBI americana, cui un ordine segreto dell’allora presidente Bush, nel 2002, permise di spiare i cittadini statunitensi, penso sia abbastanza felice di sapere che una moltitudine dei medesimi è felicemente occupata all’interno di un unico sistema informativo, la cui porta di ingresso si trova ad un numero ragionevole di miglia dai loro uffici. Per quanto riguarda queste grandi piattaforme multitudinarie, due sono gli elementi chiave: per primo, esse accolgono numeri enormi di persone, e inoltre, il valore complessivo delle informazioni che contengono è di molto superiore alla somma delle informazioni individuali, se si dispone di tecniche di analisi abbastanza sofisticate. 
 



Silvia Fabbri

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