"Dai nostri rubinetti
esce buon'acqua"
Intervista al professor Masimo Ottaviani, dirigente dell'Istituto superiore di sanità
"La qualità dell’acqua che esce dai nostri rubinetti è normalmente buona e comunque pienamente rispettosa delle norme italiane ed europee. Anche perché dove non è così c’è un’ordinanza che ne vieta l’uso: non ci sono vie di mezzo". Parola del professor Massimo Ottaviani, direttore del reparto di igiene delle acque interne dell’Istituto superiore di sanità. Dunque una delle massime autorità del nostro paese per fare il punto su una questione, quella dell’acqua pubblica, più che mai al centro dell’attenzione. Non a caso il professor Ottaviani subito aggiunge: "Quando si parla di acqua, della qualità di ciò che esce dai nostri rubinetti, il tema di una corretta e completa informazione dei cittadini è oggi fondamentale. I cittadini devono pretendere, dai gestori dei loro acquedotti, dalle Asl, dalle istituzioni, il massimo di trasparenza, proprio per esercitare il loro diritto di scelta. Un diritto che però deve essere consapevole e documentato. Non condizionato dalla confusione che qualcuno sembra voler alimentare, arrivando a mettere in dubbio le istituzioni stesse".
Una premessa che incrocia metodo e sostanza della discussione in corso. "Rispetto a tante cose dette e sentite non posso che ribadire – spiega Ottaviani – che gli acquedotti italiani forniscono acqua potabile che da un punto di vista igienico-sanitario è al di sopra di ogni dubbio. Tutto ciò non è da confondere con l’aspetto organolettico. Cioè talvolta, per la presenza di cloro, che per altro è garanzia di igienicità, l’acqua non risulta gradita al nostro palato. Ma ciò non ha nulla a che fare con la sua piena potabilità".
Professore, a che tipo di controlli sono sottoposti i nostri acquedotti e con che frequenza?
"Verrebbe da dire che non c’è prodotto merceologicamente più controllato dell’acqua dei nostri rubinetti. Anche qui, il numero dei controlli sono definiti dalle norme e sono fatti dalle Aziende sanitarie assieme alle Agenzie regionali per l’ambiente e sono proporzionali ai quantitativi di acqua distribuita. Dunque non c’è margine per comportamenti diversi. Tradotto significa che a Roma, per fare un esempio, vengono controllate decine di campioni ogni giorno".
A destare preoccupazioni è stato anche il tema delle deroghe concesse a diversi Comuni perché le loro acque non rispettavano i parametri di legge. Qual è la situazione?
"Il meccanismo delle deroghe è previsto dalla normativa europea. Si possono chiedere al massimo tre periodi di deroga di tre anni ciascuno: dunque al massimo si arriva a 9 anni. Un tempo che serve ai gestori delle reti per risolvere i problemi. E, essendo la normativa europea in vigore dal 2003, in alcune realtà il termine delle deroghe si avvicina. Detto questo, va chiarito che nella maggior parte dei casi le deroghe chieste in Italia sono legate alle caratteristiche geologiche del suolo e non a problemi di inquinamento antropico".
Cioè di cosa si tratta?
"L’acqua attraversando le rocce solubilizza e si porta dietro alcune sostanze che nelle zone vulcaniche sono soprattutto arsenico e fluoro. Da qui il superamento dei valori di legge. Questo non significa che quest’acqua sia tossica, perché il limite europeo è calcolato su un individuo medio che beva 2 litri di quell’acqua ogni giorno per 70 anni di vita. Dunque il quesito reale è: che concentrazione posso assumere per un periodo più ridotto, senza subire conseguenze? Ebbene l’Istituto superiore di sanità, col vaglio successivo del Consiglio superiore di sanità, ha fissato dei valori massimi, per le diverse sostanze che sono da considerare limiti sanitari per la durata della deroga. Aggiungo che le deroghe derivanti dall’origine vulcanica del terreno riguardano soprattutto alcune province del Lazio e, in misura minore, della Toscana. In Trentino c’erano problemi ma sono già stati risolti. In linea generale poi, il fatto che l’80% delle nostre acque venga dal sottosuolo dà una garanzia maggiore, proprio per il ruolo di filtro del terreno. Dove invece le acque sono di superficie questo filtro non c’è, ma si interviene con trattamenti di potabilizzazione più complessi".
Cosa si può dire sullo stato della rete acquedottistica italiana?
Sicuramente si tratta di un tasto dolente. Abbiamo un dato medio di perdite del 30%. Che significa che in molte realtà siamo al 40% e oltre di dispersione. Questo, oltre a essere un danno economico, è anche un danno ambientale enorme. L’acqua è una risorsa finita che va tutelata. Certo risanare la rete richiede investimenti enormi. Pensi che solo per Roma parliamo di 5 mila chilometri di tubature. In Italia abbiamo l’acquedotto pugliese che è il più grande d’Europa. Mi permetto di aggiungere poi che in Italia noi l’acqua la paghiamo poco. Mediamente 1 metro cubo, cioè mille litri, costano un euro. È vero che esistono differenze rilevanti tra città e città, ma una riflessione su questo aspetto credo vada fatta".
Ultima questione: spesso i timori degli utenti si incentrano sulle tubature di casa. Possono davvero essere fonte di problemi?
Uno dei timori più diffusi è legato al fatto che l’acqua possa solubilizzare elementi metallici delle tubature e delle reti, in particolare il piombo o il nichel. Come Istituto superiore di sanità abbiamo condotto uno studio approfondito da cui emerge come questo aspetto in Italia non sia rilevante. Qualche attenzione in più deve esserci nei centri storici, dove magari le reti sono più vecchie. Ma, dai nostri dati, siamo sempre entro i parametri fissati dalla legge.
Dario Guidi