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Da che parte andiamo?

Un paese al bivio
Le contraddizioni degli italiani nel giudizio sul governo Monti e i suoi provvedimenti  descritte dal sociologo Ilvo Diamanti

Delle contraddittorie opinioni degli italiani ai tempi del governo tecnico. Potrebbe intitolarsi così la "fotografia" proposta in questa intervista da Ilvo Diamanti, sociologo che con le sue indagini è tra i più attenti osservatori della realtà del nostro paese.

Professor Diamanti che atteggiamento sta emergendo nel nostro paese a partire dall’insediamento del governo Monti?
"Definire il sentire degli italiani in questa fase non è semplice perché si tratta di sentimenti contraddittori. Da un lato le ricette e le medicine che sono costretti ad assumere per provare a risolvere una crisi che si è deteriorata nel corso del tempo, sono dure e dolorose. E dunque non possono piacere. In questo senso il giudizio degli italiani sulla manovra economica varata dal governo non è buono. Non piace nel suo complesso perché ritenuta non equa, non piace la riforma delle pensioni, non piace il fatto che si sia scelta la via dell’aumento delle tasse. Ma anche su una vicenda come le liberalizzazioni i giudizi sono molto contraddittori. Da un lato c’è una maggioranza di giudizi positivi su quasi tutti i provvedimenti che il governo ha proposto, ma poi c’è un atteggiamento di generale indulgenza o comprensione verso le reazioni e le proteste delle diverse categorie, specie per quelle come i taxisti o i camionisti che sono ritenute non privilegiate. Certo la cosa cambia se invece si parla di notai o di farmacisti.

Ma il giudizio sul governo resta buono…
Sì, nonostante quel che abbiamo visto prima la fiducia verso questo governo resta alta, oltre il 50% della popolazione. E la fiducia personale del premier Monti è su livelli molto levati. Questo è dunque il sentimento contrastante che ritroviamo nel paese. È come se i cittadini ci dicessero: le cose che fa questo governo non ci piacciono, ma ci rendiamo conto che sono necessarie. In più sappiamo che chi le fa è credibile e per bene, molto più di chi lo ha preceduto, quindi teniamocelo stretto perché altrimenti sarebbe peggio.

Ma il fatto che sia un governo tecnico e non politico è dunque un vantaggio nella percezione generale?
Certamente. Il fatto che non sia un governo di politici di professione è visto positivamente dalla gente. Viviamo una fase di grande insoddisfazione e sfiducia verso la politica e i partiti, un clima antipolitico. E tutti quelli che criticano questo esecutivo perché non sa far politica in realtà gli fanno un gran favore agli occhi della popolazione. In più gli italiani sono consapevoli che un prezzo sia da pagare per non finire come la Grecia, e sono consapevoli che Monti sta facendo quello che i governi precedenti non sono stati in grado di fare. Poi c’è anche una questione di stile che è abbastnza importante dopo anni in cui è prevalso una stile diciamo così molto pop. Avere di fronte figure sobrie e sotto traccia viene apprezzato, tecnici che sanno di cosa parlano.

Sul piano dell’etica pubblica veniamo da anni piuttosto travagliati. Un altro dei temi di cui si è occupato il governo è la lotta all’evasione. Sul dovere di pagare le tasse, sul prevalere appunto di una etica pubblica, ci sono segni di cambiamento rispetto agli anni da cui veniamo?
È difficile dirlo in base ai dati di cui dispongo. A parole gli italiani sono sempre stati contro chi non paga le tasse. Ma gli italiani hanno anche un rapporto difficile con lo Stato, non si fidano dello Stato perché lo considerano inefficiente e invasivo. Ed è difficile invertire una tendenza in poco tempo. Per cui il retro pensiero che continua ad emergere è che le tasse siano un abuso, che evadere non è un reato ma un atto di legittima difesa. Certo lo era molto di più nel momento in cui chi governava, come il presidente del consiglio precedente, ti diceva esattamente questa cosa. Oggi sei di fronte a un atteggiamento totalmente opposto. Hai davanti delle figure che non sono attaccabili sotto questo profilo. Ma interrompere la spirale perversa non sarà facile.

Ma in questo quadro che destino aspetta i partiti politici?
Oggi noi siamo di fronte a una crisi dei partiti ed in particolare di quelli maggiori. Pd e Pdl pagano il prezzo di non fare politica secondo una dinamica normale, costretti come sono in questa maggioranza. In più sono incalzati dai loro alleati tradizionali, Lega da una parte, Idv e Sel dall’altra che approfittano di questa difficoltà. Per cui anche se il Pd è nettamente avanti nei sondaggi, le difficoltà emerse a febbraio con le primarie di Genova ci descrivono un partito senza radicamento sul territorio. E un partito di centro sinistra senza questo fa fatica a sopravvivere. Invece il Pdl, oltre alle polemiche feroci sul tesseramento che stanno segnando la sua campagna congressuale, paga anche l’assenza dalla scena di Berlusconi.

Ma in questo contesto la distinzione tra destra e sinistra esiste ancora o sta perdendo di significato?
Agli occhi degli elettori questa distinzione resta. Chi fa sondaggi vede che gli elettori continuano a distinguersi in modo abbastanza netto. Quel che non è chiaro, invece, è quali siano i temi su cui questa distinzione dovrebbe manifestarsi. È abbastanza evidente che il governo Monti che sta facendo politiche liberali e moderate, sta facendo ciò che richiedono Bce e Fondo monetario. Dunque non certo un governo di sinistra. Eppure dai cittadini questo è percepito come un governo più vicino al centro sinistra che al centro destra. Dunque la contraddittorietà c’è anche qui. Dalle indagini la distanza tra elettori Pd e Pdl è invariata se non aumentata. Ma la difficoltà della politica è far emergere questo nella realtà dei fatti.
 



Dario Guidi

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