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Cibo trasparente

Cibo trasparente

La nuova etichetta prescritta dall'Ue contiene quasi tutto quello che c'è da sapere su quello che mangiamo. Ma bisogna volerla (e saperla) leggere…

L’etichetta sulla confezione di un alimento ci racconterà sempre di più cosa è e da dove viene il cibo che stiamo per comprare. Stiamo comprando un prodotto fresco o decongelato? Ci farà ingrassare? Potrebbe provocarci un’allergia? Sarà tutto scritto lì, e presto anche a caratteri più grandi di quanto non sia oggi: e non ci sarà bisogno di una lente per leggere le calorie o la percentuale di grassi. 
Già oggi molti prodotti hanno etichette che sono vere e proprie alleate del consumatore e della sua salute ma, in base a quanto stabilito dall’Unione Europea, adesso tutti dovranno obbedire a queste regole. Tempo tre anni. “Per dare tempo alle aziende di adeguarsi, visto che molti prodotti hanno scadenze lunghe anche di due anni – spiega Paola Testori Coggi, direttrice Generale della DG Salute e Consumatori (SANCO) della Commissione europea – ma quello che è importante è che da oggi si dica cosa diventerà l’etichetta dei cibi confezionati”.

Dietro a questo regolamento c’è l’idea che il consumatore deve essere personalmente responsabile per la propria dieta e che deve diventare più vigile. L’obbligo di aumentare il carattere dell’etichetta fino a 1,2 millimetri – posizionandola nello stesso campo visivo della denominazione di vendita, cioè non dietro e magari sotto una piega dell’incarto – va proprio in questa direzione. Basterà per convincerci a leggerla? Per il momento, infatti, l’etichetta, la leggono proprio in pochi. Secondo una ricerca dell’European Food Information Council i consumatori tendono a ignorare le informazioni nutrizionali proprio perché le considerano difficili da consultare. Secondo una ricerca americana, l’informazione più letta – e solo dal 9% – riguarda il numero di calorie. Soltanto l’1% si è spinto a considerare sempre tutte le altre informazioni. Cosa succederà quando a poco a poco anche tutte le aziende europee si uniformeranno al regolamento europeo? Coglieremo l’invito a essere più responsabili della nostra dieta e a sfruttare al meglio le informazioni che ci vengono offerte? “Credo che la maggior parte della gente guardi solo la data di scadenza, oggi come oggi. C’è da dire che molte informazioni – spiega Eugenio Del Toma, nutrizionista e presidente onorario dell’Associazione italiana di dietetica – possono anche scoraggiare il consumatore, deluderlo, perché non riesce a decodificare l’informazione, specie se l’elenco diventa ridondante. Allora sarà necessario non tanto elaborare piani di educazione alimentare, quanto di informazione”. “In ogni caso – commenta Paola Testori Coggi sarà comunque più facile per il consumatore, scegliere un cibo con meno grassi, se ha la necessità di controllarli”. Avrebbe potuto forse aiutare la presenza di pittogrammi riassuntivi delle caratteristiche nutrizionali, come ad esempio il semaforo rosso per i cibi troppo ricchi, di calorie, di grassi o di zuccheri, ma la commissione ha vietato l’utilizzo di queste scorciatoie. “Sarebbero state utili per chi non è particolarmente preparato nel leggere un’etichetta o chi va sempre di fretta”, ipotizza Del Toma. Ma il dibattito è aperto: altri dietologi affermano che bollare come vietato un cibo è sempre negativo e che, in base al criterio dei grassi, ad esempio, sarebbero stati “bollati” come negativi anche l’olio extravergine o il parmigiano reggiano, cibi da usare con moderazione, certo, ma che devono far parte della nostra dieta. 

Per la salute
Una parte delle indicazioni che il regolamento Ue prevede in etichetta riguarda più strettamente la salute del consumatore. Ad esempio, la tabella nutrizionale: devono essere indicati valore energetico (cioè calorie), grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, proteine, zuccheri e sale). A seconda delle proprie necessità, il consumatore potrà ed esempio limitare il consumo di un alimento confezionato ad alto contenuto di zuccheri. Va in questa direzione anche l’obbligatorietà della presenza di allergeni, come le tracce di arachidi o di crostacei. 
Il legislatore europeo pensava certamente alla salute del cittadino quando ha deciso di chiedere alle aziende che la scritta generica “oli e grassi vegetali” fosse abbinata all’indicazione dell’olio o del grasso utilizzato, soia o palma o arachide. Perchè non solo nei vituperati grassi animali possono nascondersi grassi saturi, ma anche in quelli vegetali. “Ecco che rispunta la necessità – commenta Del Toma – di fare informazione alimentare: se io come consumatore non so che nei grassi tropicali possono esserci grassi saturi, di quell’indicazione, che me ne faccio?”. Quanto ai grassi trans, un genere di grassi saturi che sarebbero responsabili di numerosi disturbi cardiovascolari, la Ue si riserva di decidere se renderne obbligatoria l’indicazione tra tre anni, sulla base di un rapporto di valutazione. Anche l’indicazione della caffeina – a tutela della salute di talune categorie come donne in gravidanza o bambini – va indicata, ma solo se supera i 150 mg al litro (praticamente due tazzine da caffè fatte con la moka). Dubbi sull’involucro di un insaccato? Niente paura: il legislatore europeo ha pensato anche a questo e il produttore dovrà dichiarare se è commestibile o meno. 

Per la trasparenza
Oltre alle indicazioni strettamente legate alla salute ci sono quelle in linea col concetto di trasparenza. Che ci aiutano cioè a rispondere a questa domanda: sto spendendo bene i miei soldi? La norma più importante in questo senso è l’obbligatorietà dell’indicazione di origine (cioè del luogo di provenienza) per la carne ovina, suina, caprina e pollame. “Una norma che serve anche a smascherare i prodotti di imitazione”, spiega Testori Coggi e che è pensata soprattutto per quei prodotti che sono venduti come se fossero italiani – e magari con un nome che ‘suona’ italiano – e invece sono stati confezionati lontanissimo dai nostri confini. La commissione europea valuterà entro cinque anni se estendere l’origine ad altri prodotti come latte o carne se usata come ingrediente (per una percentuale maggiore del 50% sul totale del prodotto confezionato). 
Fa parte della categoria “trasparenza”, ad esempio, l’obbligatorietà dell’indicazione, in etichetta, se si tratti di alimento fresco o scongelato. Altrettanto dicasi della percentuale di acqua che – se superiore al 5% – va sempre segnalata. Così che sia possibile capire se quello che compriamo, ad esempio, è più acqua che succo di frutta. Più trasparenti anche la carne e le preparazioni a base di carne: se le fette o le porzioni sono composte da diversi pezzetti uniti con additivi o enzimi, bisogna specificare che il prodotto è ottenuto dalla combinazione di più pezzi. 
“Non fa parte direttamente di questa normativa – conclude il professor Del Toma – ma va ricordato che l’Efsa, l’autorità per la sicurezza alimentare dell’Unione, ha finalmente dato un taglio alle false indicazione terapeutiche sui cibi funzionali. Ovvero ha stabilito che soltanto i benefici comprovati possono essere effettivamente vantati dai claims dei cibi. Anche questo un bel passo avanti a favore della salute del consumatore”.



Silvia Fabbri

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