Banche
(quasi) tutto come prima
Con la crisi, a livello mondiale, hanno ricevuto 4.000 miliardi di dollari di aiuti pubblici. Ora la gran parte ha ripreso a fare utili e a speculare in titoli derivati esattamente come prima. Scopriamo perché il sistema bancario e finanziario, dopo tanti allarmi e tante parole è ancora un problema. Senza contare (pensando all’Italia) che i comportamenti verso i clienti e le famiglie, ripropongono vecchi vizi e scarsa trasparenza
Ad andare contro il potere delle banche ci ha provato anche Eric Cantona, per tanti anni grande star del calcio mondiale (col Manchester United e la nazionale francese) ora riconvertitosi ad attore cinematografico di successo. Ma il suo invito a ritirare, tutti nello stesso giorno i nostri soldi dal conto corrente, al di là dei tanti articoli apparsi sui giornali di mezzo mondo per annunciare questa clamorosa protesta, è andato ampiamente disatteso. Confermando, probabilmente, tre cose: primo, che le banche stanno ai posti alti nella classifica dei soggetti che non riscuotono la simpatia e la fiducia dei cittadini; secondo, a giudicare dalle tante dichiarazioni allarmate rilasciate per l’occasione, più d’un banchiere si era spaventato per la donchisciottesca iniziativa di Cantona, sentendo, evidentemente, terreno fragile sotto ai piedi; terzo, comunque, delle banche, per come è congeniato il mondo di oggi, non possiamo né sappiamo (almeno per il momento) fare a meno.
Se questa è la premessa proviamo ad andare oltre. E, a due anni e passa dall’esplosione di una crisi economico-finanziaria che è ancora lontana dal concludersi e che ha avuto nelle banche e nel sistema finanziario il suo epicentro, proviamo a capire come siamo messi e qual è lo stato di salute del sistema a livello mondiale. E chiediamoci pure, a 27 mesi buoni da quel 15 settembre 2008 in cui fallì Lehman Brothers, cosa è cambiato? Parole ne sono state spese a valanga, da politici, capi di stato, ministri delle finanze, economisti ed esperti di prestigiose istituzioni. Tutti preoccupati, indignati e concordi sulla necessità di correggere, riformare, prevenire, impedire che si ripetessero situazioni del genere.
4.000 miliardi di aiuti pubblici
Oltre alle parole ci sono anche cifre che parlano. Secondo uno studio R&S-Mediobanca del novembre 2010, gli aiuti pubblici (che comprendono interventi diretti sul capitale e garanzie) arrivati alle banche sono stati pari a 4.000 miliardi di dollari. Negli Stati Uniti sono 1.257 gli istituti che ne hanno usufruito, in Europa 155 di cui nessuno italiano. Al netto delle cifre sin qui restituite, l’esposizione pubblica è pari a 3.361 miliardi di dollari (2.051 in Usa e 1.310 in Europa). Nelle ultime settimane, specie negli Usa qualche altro rimborso si è aggiunto. Ma è anche arrivato, proprio alla vigilia di Natale, il salvataggio pubblico da 3,7 miliardi di euro della Allied Irish Bank. Forse suona un po’ demagogico, ma non è male ricordare che parliamo di soldi pubblici, soldi della collettività, usati per risolvere i guai creati da banchieri e finanzieri.
Detto questo, è poi utile ribadire che il sistema bancario, nel suo insieme, ha comunque ripreso (per fortuna!) a fare utili. Tra i 18 big del credito a livello europeo (tra cui Unicredit e Intesa Sanpaolo), nei primi sei mesi del 2010, l’utile netto aggregato è cresciuto del 42,5% sul 2009, raggiungendo i 40,5 miliardi di dollari. Altra notizia importante: è ripreso a crescere vertiginosamente il volume di prodotti di finanza derivata (cioè quei famosi prodotti che sono stati per buona parte causa della crisi) che le banche trattano: 4 mila miliardi di euro a giugno 2010, con un più 25% sul dicembre 2009. Questi prodotti pesano per il 21% sul volume totale dei bilanci, con punte del 39% per Deutsche Bank, 31% Ubs e 30% Barclays, mentre per la banche italiane Unicredit è al 12% e Intesa Sanpaolo all’8%.
Tradotto brutalmente: per evitare che le banche fallissero gli stati hanno "prestato" loro 4 mila miliardi, le banche si sono in larga parte rimesse in sesto (anche se non tutte) ma stanno ricominciando a comportarsi come prima della crisi, cioè speculando a caccia di facili profitti.
Diagnosi vera o troppo brutale? Possiamo dire di essere più tutelati oggi da certi rischi o no? "Passi avanti sul terreno della regolamentazione ne sono stati fatti, ma sono passi ampiamente incompleti" spiega il professor Marcello Messori, docente di economia dei mercati monetari e finanziari all’Università Tor Vergata di Roma. Che aggiunge: "C’è sicuramente nelle banche una tendenza a riprodurre comportamenti che sono stati concause delle crisi attuali. Ad esempio i grandi gruppi del credito hanno fatto ingenti utili, nel corso del 2010, attraverso uno strumento come i Cds (Credit default swaps, che sono una sorta di contratto assicurativo ndr) scommettendo contro gli stati deboli dell’Unione europea. Cioè hanno guadagnato puntando sui dissesti finanziari di questi Stati". Parliamo di Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna. Dunque c’era chi speculava e guadagnava, mentre i governi si vedevano poi costretti a tagliare ferocemente i loro bilanci, a ridurre salari e pensioni…
Del resto il ministro delle FInanze, Giulio Tremonti, ha iniziato l’anno spiegando lapidariamente che la crisi, come i mostri dei videgiochi, non è per niente morta. Il fatto è che, "salvando le banche si è salvata anche la speculazione", questo perchè la speculazione è sistemica nelle banche".
Finanza, tutto come prima?
Ma torniamo al tema delle regole. "Sulla regolamentazione dei mercati – continua Messori – ci sono elementi di novità positivi, come le norme che l’amministrazione Obama ha varato negli Usa o le norme di Basilea 3 in Europa (che pure entreranno in vigore gradualmente tra il 2013 e il 2018 ndr). Ma non bastano, anche perché gli attori del mercato stanno facendo finta di niente, come se tutto potesse riprendere come prima della crisi". In più, dei famosi titoli tossici, più o meno nascosti nei bilanci (o nelle società satellite) di tante banche, nessuno può dire quanti ce ne siano ancora in giro. "I programmi che aiutano a far uscire questi titoli problematici sono da rafforzare perché è evidente che l’operatività di diversi istituti è appesantita da questi titoli" aggiunge Messori che, ricordando la provocazione di Eric Cantona, su un punto è netto: "Non possiamo comunque pensare di vivere senza banche, sono un circuito essenziale della nostra economia. Ma se qualcuno pensa che basti avere più concorrenza e più trasparenza, che pure servono, si sbaglia. Alla finanza servono più regole".
Una valutazione condivisa anche da Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica (su Banca Etica vedi la scheda a parte). "Per prodotti come i Cds o gli Otc (letteralmente Over the counter, cioè "venduti a banco", in realtà transazioni tra privati che di fatto sfuggono alle autorità di vigilanza ndr) siamo ancora fermi. Come poco o nulla si è fatto verso i paradisi fiscali, dove anche tante imprese italiane hanno società. Pensiamo che il volume della finanza derivata è superiore di 10/20 volte al Pil mondiale. Sono fenomeni speculativi da contrastare, non può tornare tutto come prima. Per questo noi proponiamo anche di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie dello 0,05%. È una idea condivisa da diversi leader europei, ma che in Italia non sta incontrando grande attenzione nel mondo politico".
E le banche italiane…
Rispetto ai clamorosi e pesanti tonfi avvenuti in altri paesi, le banche italiane hanno vissuto questi mesi con minori tensioni. E questo è un importante elemento di merito che va loro riconosciuto. Soldi pubblici per salvataggi non ne sono serviti. "Le banche di Italia e Canada – spiega ancora il professor Messori – sono quelle che hanno attraversato meglio la crisi finanziaria, perché meno sbilanciate sul versante delle speculazioni finanziarie e più vicine al territorio. Ma ora ci sono difficoltà evidenti, perché si paga la crisi dell’economia reale che sta toccando pesantemente il cuore del sistema bancario".
A questo si aggiunge la questione di una non adeguata capitalizzazione delle banche italiane, che è tra i motivi del difficile andamento di questi titoli sul mercato. I parametri fissati dalle norme europee di Basilea 3, che pur entreranno in vigore in maniera graduale dal 2013, comporteranno secondo le recenti stime di Bankitalia, la necessità di una iniezione di denaro pari a 40 miliardi di euro. Che non sarà semplice trovare sul mercato. C’è poi da aggiungere la questione dei titoli legati al debito sovrano degli Stati (Grecia, Irlanda, ecc.), che continuano a essere uno spettro che si aggira per l’Europa. Si tratta di titoli, che seppur detenuti in maniera non rilevante dalle banche italiane, continuano a tenere l’intero settore in fibrillazione. "È più che fondato il sospetto – spiega Messori – che la Germania, abbia accettato di salvare Grecia e Irlanda, non tanto per una magnanima concessione politica, ma per difendere le sue banche che di titoli greci e irlandesi erano piene".
I vecchi vizi che rispuntano
Ma, messi da parte i grandi scenari, come stanno e, soprattutto, come si comportano le banche italiane con i loro clienti? La fotografia propone un mix di situazioni che mescolano vecchi vizi a problemi nuovi. "Noi da anni stiamo lavorando con l’Abi (l’Associazione banche italiane ndr) – spiega il segretario generale di Adiconsum, Paolo Landi – e sul tema della trasparenza siamo stati invitati a un nuovo gruppo di lavoro, ma devo dire che ai passi avanti fatti sul piano formale, corrispondono dei passi indietro sostanziali. Faccio l’esempio della profilazione del cliente, che è obbligatoria, per potergli poi offrire prodotti adeguati alle sue esigenze. Ebbene, ciò si traduce solo nel fatto che il povero utente si ritrova a firmare un sacco di carte che di fatto tolgono ogni responsabilità alla banca, senza che lo stesso utente abbia davvero maggiori informazioni sui prodotti che sta acquistando. Questa overdose di informazioni apparenti così ottiene solo un effetto contrario". Senza dimenticare, aggiunge Landi, che una delle pesanti code della crisi, è stata anche un pesante contenzioso tra banche e clienti, come avvenuto per chi deteneva obbligazioni della defunta Lehman Brothers. "Usando lo strumento della conciliazione, come Adiconsum, abbiamo risolto circa 35 mila casi di contenzioso con Banca Intesa, più altri 20 mila circa tra Monte dei Paschi e Unicredit. Poi ci sono altre centinaia di cause ancora in corso. Pur comprendendo l’impatto della crisi, nel rapporto banche-clienti, spuntano mali antichi. Come per le commissioni sul massimo scoperto: c’è una cosa che viene tolta per legge e la si sostituisce inventando qualche altro balzello".
Significativo in proposito un passaggio dell’intervento di Andrea Speciale, responsabile del servizio di vigilanza di Bankitalia, in una audizione al Senato: "La Commissione di massimo scoperto sui conti non affidati – abolita per legge – è stata sostituita con altre forme di remunerazione, quali la maggiorazione del tasso debitore e l’introduzione di commissioni di varia natura".
Pensare alle famiglie
Altri rincari i correntisti se li sono trovati a seguito dell’introduzione di una direttiva europea che toglie alle banche l’introito sui giorni di valuta. Così come un altro problema è nato con l’introduzione dell’Isc (Indice sintetico di costo), voluta da Bankitalia per garantire ai clienti una maggior trasparenza. Come ha spiegato al "Corriere delle Sera", Chiara Fornasari di Prometeia, "le banche recuperano con nuove commissioni i maggiori costi sostenuti e il lavoro in più che devono fare". Secondo un’indagine dell’Università Bocconi, i costi bancari, negli ultimi sette mesi, sono aumentati del 2,9%, il doppio dell’inflazione. Della serie, alla fine è sempre il cliente che paga e su di lui vengono scaricati i problemi. Anche l’Unione europea ce l’ha con le banche italiane, sostenendo che il costo dei conti correnti nel nostro paese, è il più alto di tutta la Ue.
Una classifica che però l’Abi contesta duramente, forte anche dei dati di Bankitalia. Per la Ue il costo medio di un conto corrente in Italia è di 246 euro all’anno per cliente, contro i 43 dell’Olanda che è la più conveniente. Per Bankitalia (cifre ufficiali presentate sempre al Senato) il costo è 114 euro. Colpa della discrepanza è il fatto che la Ue considera i costi delle singole operazioni, mentre ormai i conti correnti sono in larghissima parte legati venduti a forfait, cioè con pacchetti di operazioni incluse in un prezzo fisso. La Ue, comunque non si accontenta delle smentite italiane e ha annunciato una indagine sulle disparità rilevate.
Il discorso potrebbe essere ancora lungo e ricco di esempi. Val la pena chiudere con un ultima considerazione di un esperto come Marcello Messori: "Oggi credo che in Italia il rapporto tra banche e imprese sia molto migliorato. La vera riforma, la svolta di cui c’è bisogno è invece nel rapporto tra banche e famiglie. Qui c’è tanto da fare e recuperare".
Dario Guidi