"Acquacoltura, una risposta
a basso impatto ambientale"
Intervista al professo Paolo Melotti dell'Università di Camerino
Professore, l’acquacoltura cresce ma alcuni le imputano conseguenze disastrose sull’ambiente: le specie carnivore hanno bisogno di tonnellate di pesce fresco e andrebbero limitate. È d’accordo?
È il caso di ricordare – risponde il professor Paolo Melotti della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Camerino – che sono poche le specie che consumano direttamente pesce fresco o decongelato, tra queste il tonno e la ricciola. Questo tipo di dieta ha un basso indice di conversione e pertanto occorrono parecchi kg di cibo per ottenere 1 kg di incremento ponderale; ne risulta un notevole impatto ambientale dovuto ai residui delle grandi quantità di cibo somministrato e alle deiezioni dei pesci allevati. Nel caso delle specie che utilizzano mangimi bilanciati, quali salmonidi, l’orata e il branzino, l’impatto ambientale è invece molto ridotto poiché sono sufficienti basse quantità di alimenti (kg 1-1,5) per produrre 1 kg di pesce.
I ricercatori del progetto europeo ‘Aquamax’ hanno messo a dieta vegetariana salmoni e trote salmonate, dicendo che è una scelta più sicura anche per la nostra salute. Che ne pensa?
Le sperimentazioni, tuttora in corso, finalizzate alla sostituzione delle proteine animali con vegetali nei mangimi per pesci, hanno l’obiettivo di ridurre i costi e risparmiare l’uso di farina di pesce; se in linea di principio l’idea è condivisibile, non bisogna dimenticare che si tratta di pesci carnivori che non possono essere trasformati in erbivori per soddisfare le nostre esigenze. L’uso di diete vegetali è responsabile della riduzione degli omega-3 nelle carni dei pesci aumentando la frazione di omega-6 che sono largamente rappresentati nei vegetali. In tal modo, si riducono gli effetti benefici degli omega-3 che, come noto, riguardano la circolazione, la funzionalità cardiaca, l’efficienza del sistema immunitario agendo favorevolmente nella prevenzione di gravi malattie quali Alzheimer, artrite reumatoide e cancro.
È vero che il pesce allevato è meno soggetto a stress da cattura rispetto a quello selvaggio, per cui si mantiene fresco più a lungo?
È sicuramente vero poiché vive a stretto contatto con l’uomo di cui non ha timore e alla cattura segue immediatamente la morte che può essere ottenuta per immersione in acqua e ghiaccio, per asfissia con anidride carbonica o con shock elettrico. Al contrario, i pesci pescati vanno incontro a una morte lenta una volta intrappolati nella rete e inoltre dopo il decesso possono restare in acqua per molte ore prima del recupero. Ciò oltre a stressare gli animali prima della morte, può compromettere notevolmente le caratteristiche organolettiche delle carni.