Abbiamo molto da imparare e importare dalla cultura orientale, evidentemente non solo nel campo della filosofia, ma anche della medicina. La meditazione tibetana non è soltanto una pratica utile ad alleviare lo stress o metterci in contatto con i dipartimenti più profondi dell’anima. A Bologna, da febbraio, l’Ospedale Bellaria sta sperimentandone gli effetti sui malati oncologici.
Ben inteso, non per eradicare il male, ma per studiare se e come la meditazione influenzi l’efficacia dei farmaci tradizionali. Un gruppo di pazienti sarà educato alla meditazione, mentre un altro, composto dallo stesso numero di persone, fungerà da gruppo di controllo, ovvero seguirà le stesse terapie, ma senza meditazione. Si tratta di un monitoraggio da effettuarsi a distanza di tre e cinque anni, per capire se avverranno cambiamenti rilevanti non solo a carico della condizione psicologica, ma anche se verranno influenzati valori del sangue come il livello dei globuli bianchi.
A dirigere la sperimentazione è l’equipe Gioacchino Pagliaro, direttore del reparto di Psicologia clinica dell’ospedale, già studioso di meditazione. La pratica meditativa sperimentale autorizzata dall’Ausl di Bologna si chiama Tong Len. Alla lettera, Tong Len significa «Dare e ricevere», e si pratica immaginando – durante la fase dell’inspirazione – di accogliere la sofferenza degli altri su di sé, e successivamente riversare – durante la fase di espirazione – gioia e benessere al resto del mondo.
L’iniziativa bolognese non è passata inosservata al fondatore dell’Istituto oncologico europeo Umberto Veronesi, che pur scettico sugli effetti somatici, ha sottolineato l’importanza della componente psicologica, degli stati di tensione e di stress, nel decorso delle malattie in generale e, soprattutto nella storia di un paziente che convive con un tumore.
Meditazione e cura dei tumori. A Bologna si sperimenta
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