Alcuni mulini, in Italia, pur essendo di piccole dimensioni, stanno investendo nello spettrografo di massa ad alta risoluzione: un costoso strumento che identifica le sostanze sconosciute e garantisce che quel che viene acquistato, e che poi finirà sulle nostre tavole, corrisponda a quanto dichiarato.
È un esempio di come si stanno spostando le nuove frontiere dell’autenticità e della prevenzione del rischio alimentare, ma anche di come il nostro paese sia pervaso da una cultura della qualità che abbraccia prevenzione e controlli. La guardia è tenuta sempre molto alta e trova riscontro, come vedremo, nel Piano nazionale integrato (Pni) per la sicurezza alimentare e per la lotta alle frodi e alle contraffazioni. Ma là dove il pubblico non arriva, il privato o la cooperazione si attivano. Siamo anche per questo un “paese guida”, dicono gli esperti, in tema di sicurezza alimentare e lotta alle frodi. Con leggi avanzate e una rete di sorveglianza senza eguali al mondo. Gli ultimi dati del Pni paiono confermare questo primato che restituisce più serenità ai consumatori in un panorama in cui – dalle uova con residui di Fipronil ai lotti di ricotta contaminati dal batterio Listeria – gli allarmi si susseguono.
Il paese del cibo controllato Ma che cos’è il Pni? È la summa dei controlli ufficiali svolti dalle diverse autorità competenti che si occupano di verificare la conformità alle normative in materia di alimenti e mangimi. I risultati dal 2007 vengono pubblicati con cadenza annuale – come spiega Giuseppe Ruocco, direttore generale per l’Igiene e la sicurezza degli alimenti del ministero della Salute – e sono pubblicati sul sito internet del dicastero.
Secondo il report 2016, i residui chimici negli alimenti di origine animale e nel miele sono pari a una percentuale dello 0,12%. Appena 49 prodotti contaminati su oltre 41 mila campioni analizzati. Stiamo parlando di tracce di antibiotici e di altri farmaci veterinari contro i quali, tra parentesi, è rivolta la campagna Coop “Alleviamo la salute” di cui parliamo in altre pagine del giornale. Più di mille, invece, sono le tonnellate di prodotti falsi sequestrati dai Carabinieri (800 tonnellate) e dalla Guardia di Finanza (215 tonnellate) a segnalare che il problema dell’agropirateria resta molto vivo e attuale.
Questi sono i dati di maggior rilievo tra i tanti contenuti nel rapporto. Nel 2016 il totale dei controlli ammonta ad oltre 160mila, di cui più di 1.500 sul web (vedi box), per un valore complessivo di oltre 36 milioni di euro di sequestri nell’agroalimentare italiano e più di 6mila sanzioni. È il risultato del lavoro dei quattro organismi di controllo, che sono Ispettorato repressione frodi (Icqrf), Nuclei Antifrodi Carabinieri/Comando Carabinieri politiche agricole e alimentari (Nas), Corpo forestale dello Stato e Capitanerie di Porto-Guardia Costiera. «Circa un quarto dei controlli che svolgiamo noi come Ispettorato centrale – riassume il dirigente Antonio Iaderosa – danno esiti di irregolarità, con indici particolarmente elevati nel comparto dei concimi».
La ragnatela delle verifiche Se andiamo poi a sezionare il capello, vediamo che per i cibi e le bevande importati dall’estero la rete italiana si affida ai Posti di ispezione di frontiera, mentre gli Uffici di sanità marittima si occupano di prodotti vegetali e dei materiali a contatto con gli alimenti. Altri controlli (20mila) su cibi e bevande, con annesse analisi di laboratorio, sono di competenza dell’Agenzia delle dogane, che nel 2016 ha provveduto a sequestrare oltre 60 tonnellate e 264 litri tra carne, latte e latticini non conformi alle normative. Alle Asl, attraverso i servizi di Igiene degli alimenti e Veterinari, spetta un bel po’ dell’attività di verifica di impianti produttivi, attrezzature e mezzi di trasporto. Da 257mila verifiche sono emerse lo scorso anno più di 54mila infrazioni. Ma i campioni fuori legge sono solo 931 (meno dello 0,25% del totale) su 40mila inviati in laboratorio tra alimenti, bevande e materiali. Nella ragnatela delle verifiche ci sono anche i Lea, i Livelli essenziali di assistenza, applicati sulle Regioni attraverso una serie di indicatori alimentari e veterinari. Su 21 regioni italiane 19 hanno passato più o meno brillantemente l’esame. Bocciate dal ministero solo Sicilia e Sardegna. La pagella tiene conto delle risposte date a problemi quali la ricerca di residui di fitofarmaci e contaminanti negli alimenti di origine animale, o l’eradicazione della brucellosi nei bovini e negli ovini.
Molto c’è da fare perché l’asticella delle minacce si alza sempre, ma l’attenzione alla sicurezza alimentare è ormai un marchio di fabbrica per il nostro paese. Tra le questioni ancora aperte e che segnerebbero un punto di svolta, c’è la creazione di una vera e propria banca dati digitale del prodotto alimentare italiano, che per ora esiste limitatamente alle filiere del vino e dell’olio.
Siamo gli unici in Europa ad avere registri telematici (e non più cartacei) analizzabili in tempo reale dagli organi di controllo.