“Good for the heart, good for the Earth”: buono per il cuore, buono per il pianeta. Un gioco di parole che esprime il senso delle più recenti scoperte in campo nutrizionale: quello che fa bene alla salute del nostro cuore fa bene anche alla salute del pianeta, perchè davvero, la terra e noi, i suoi abitanti, siamo un tutt’uno interconnesso, come le più avanzate tesi ecologiste insegnano.
“Good for the heart, good for the Earth” è il titolo di uno studio pubblicato sulla rivista “Nutrition, metabolism and cardiovascular disease”, frutto della collaborazione tra diversi istituti italiani, tra cui la Fondazione Cmcc (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) e l’Unità di ricerca su Nutrizione, diabete e metabolismo dell’Università di Napoli “Federico II”. Lo studio propone l’adozione di “un modello alimentare pratico e alla portata di tutta la popolazione adulta sana”, che porta benefici importanti in termini di salute e di impatto sull’ambiente. La novità è che per elaborarlo si sono incontrate diverse discipline: non solo medici dell’alimentazione, cardiologi e nutrizionisti, ma anche ricercatori che si occupano di cambiamento climatico.
Verrebbe da pensare che si tratti dei soliti consigli: più frutta e verdura, poca carne, pesce quanto basta e via raccomandando. Ma stavolta c’è di più. I ricercatori hanno raggruppato gli alimenti più consumati al mondo in base alle loro caratteristiche e proprietà nutrizionali. Poi li hanno collegati, grazie all’utilizzo di un database specifico, al rischio di malattie cardiovascolari. Tra gli alimenti con la massima riduzione del rischio ci sono frutta fresca, cereali integrali e cereali raffinati a basso indice glicemico (come orzo e mais). Anche altri gruppi di alimenti sono collegati a un ridotto rischio di malattie cardiovascolari. Tra questi: pesce, legumi, noci, oli vegetali non tropicali (come l’olio extravergine di oliva) e cioccolato. Tra gli alimenti che non impattano sul rischio di malattie cardiovascolari, se consumati in quantità moderate, troviamo carne bianca, formaggio e uova.
Tra gli alimenti associati a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari, invece, ce ne sono alcuni di base, come i cereali raffinati ad alto indice glicemico (ad esempio pane bianco e riso bianco) e le patate. Altri gruppi di alimenti associati a un aumento del rischio sono i grassi animali (come burro, panna, lardo), gli oli vegetali tropicali (ad esempio olio di palma), la carne rossa (ad esempio manzo, maiale e agnello) e le carni lavorate (ovvero i salumi).
Lo studio non si ferma qui. Prova a capire se il nostro consumo attuale di alimenti è corretto e in linea con la prevenzione cardiovascolare. Ebbene, fatta eccezione per il pesce e lo yogurt, il cui consumo attuale è inferiore a quello auspicabile, le popolazioni europee utilizzano quantità maggiori di tutti gli alimenti di origine animale rispetto alle dosi consigliabili, soprattutto carni rosse e lavorate, latte e formaggi.
Al contrario, le quantità di quasi tutti gli alimenti a base vegetale (cioè cereali integrali, frutta, verdura, noci e legumi) sono inferiori a quelle consigliate. E di molto!
«Il punto di forza di questo modello – afferma Annalisa Giosué, medico specialista in Scienza dell’Alimentazione e prima autrice dello studio – è quello di essere nutrizionalmente adeguato e compatibile con un’alimentazione varia, che include in abbondanza alimenti di origine vegetale quali legumi, cereali integrali, frutta e verdura, ma anche quantità variabili di alimenti di origine animale quali prodotti lattiero-caseari, pesce e carne, e non implica drastiche rinunce da parte delle persone che scelgono di adottarlo».
E qui viene il bello: secondo lo studio questa dieta settimanale non esclude alcun alimento ma li prevede tutti nelle quantità ottimali per la prevenzione cardiovascolare. Cioè appunto vegetali freschi, cereali integrali e yogurt ogni giorno, legumi e pesce fino a 4 volte a settimana per ciascuno, uova, formaggi e carni bianche non più di 3 volte a settimana, carni rosse, cereali ad alto indice glicemico o patate non più di una volta a settimana, ecc. Non solo: questo modello alimentare è in grado di ridurre del 48.6% le emissioni di gas serra legate agli attuali consumi europei.Aggiunge Marta Antonelli, ricercatrice alla Fondazione Cmcc e tra le autrici dello studio: «Questo strumento, se adeguatamente diffuso tra i medici, ma anche in altri settori strategici nonché a livello della popolazione generale, potrebbe agevolare l’applicazione di un modello alimentare capace di prevenire le malattie cardiovascolari e di ridurre con effetto immediato l’impatto sul clima delle scelte alimentari».
Diete di scarsa qualità e malnutrizione, prosegue lo studio, sono infatti il più grande fattore di rischio per le malattie non trasmissibili e causano 41 milioni di morti ogni anno a livello globale (il 71% di tutti i decessi). In Europa, le malattie cardiovascolari sono responsabili di circa il 45% di tutti i decessi (pari a circa 4 milioni di decessi all’anno). Inoltre, i danni di una dieta di scarsa qualità si ripercuotono – come abbiamo visto – anche sull’ambiente: il 37% delle emissioni totali di gas serra di origine antropica sono legate ai sistemi alimentari. Ma le emissioni associate alla produzione di cibo di origine animale sono circa il doppio rispetto a quelle associate alla produzione alimentare di origine vegetale.
A queste conclusioni era giunto anche il rapporto “Food Planet Health” presentato dalla Eat-Lancet Commission, un organismo di 37 esperti provenienti da 16 paesi, con competenze in materia di salute, nutrizione, sostenibilità ambientale, sistemi alimentari, economia. Secondo il rapporto intervenire sui consumi e la produzione di alimenti è urgente e necessario per almeno due motivi: 3 miliardi di persone hanno problemi di malnutrizione (sono sottonutriti o sovralimentati); il sistema di produzione e consumi di alimenti, destinato a crescere, genera inquinamento ambientale e contribuisce al riscaldamento globale. Riequilibrare le abitudini alimentari a livello globale porterebbe a benefici sostanziali per la salute pubblica e per la biosfera. Come? Riducendo del 50% entro il 2050 il consumo globale di carne rossa e zuccheri e raddoppiando quello di frutta, verdura, noci e legumi.
L’obiettivo è anche la qualità degli ecosistemi: più sono ricchi di biodiversità, più ci vivremo bene, sia in termini di nutrimento sia di prevenzione delle malattie. Un aumento delle patologie cardiovascolari e respiratorie è, infatti, fra gli effetti più certi dell’aria inquinata. Nel tempo, l’esposizione alle polveri sottili è legata a ictus, infarti, ipertensione, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale. «Non dobbiamo aggiungere giorni alla vita ma vita ai giorni – ha detto il dietologo e docente universitario Giorgio Calabrese in occasione della Giornata nazionale dell’alimentazione, nutrizione e cuore – e dunque dobbiamo sottolineare il valore della dieta mediterranea come base della nostra salute. Una dieta che dipende moltissimo dal corretto uso del suolo e dalla mancanza di inquinanti». La cardiologa Stefania Paolillo ha sottolineato l’importanza di una dieta che limiti il consumo di carne «e che perciò riduce i metaboliti dannosi», mentre Claudio Ferri, docente di medicina interna, ha spiegato che una dieta salubre e uno stile di vita corretto, intrapreso a 45 anni, ci fa guadagnare 6 anni di vita… Ma anche a 65 anni continua a essere vantaggioso: ci fa guadagnare 4 anni.
Morale della favola: non è mai troppo tardi per fare del bene a noi stessi e al pianeta!