E’ sempre difficile fare la storia di un vino o di un vitigno, tentando di localizzarla in un territorio preciso. Perché vini e vitigni sono figli della geografia ma soprattutto della storia: l’azione dell’uomo sull’ambiente, nel corso dei secoli, sposta e modifica le coordinate naturali, confondendo le tracce fino a renderle, talvolta, irriconoscibili. Tutto ciò che ha a che fare con la cultura – e di cultura stiamo parlando – è per definizione mobile e cangiante, perché vivo. Gli esiti di queste storie, le identità che esse preparano e producono sono realtà che si ridefiniscono di continuo, sicché cercarne le radici, andare a fondo nella ricerca delle ‘origini’ comporta avventure imprevedibili, che possono portarci ovunque.
Quando, poi, l’oggetto di studio non è un vino o un vitigno qualsiasi, ma uno dei più fortunati e di maggiore successo nel territorio italiano, la sfida parrebbe impossibile. Non così la pensano Beppe Sangiorgi e Giordano Zinzani, che in un libro recente dedicato alla storia del Sangiovese hanno proposto una sintesi ragionata di tutto ciò che sappiamo sull’argomento, integrando e reinterpretando le conoscenze acquisite sulla base di nuovi dati e di nuove intuizioni – a cominciare dall’idea che la rete di monasteri stabilitasi nel Medioevo sull’Appennino tosco-romagnolo possa essere stato il luogo di incubazione della storia del Sangiovese, che poi avrebbe preso direzioni diverse, nel senso del metodo e del gusto oltre che della geografia. Di particolare importanza è un documento che consente di retrodatare al XVII secolo l’esistenza di un ‘Sangiovese’ romagnolo che non è solo vino ma vitigno. Ciò conferma la continuità di una cultura tipicamente italiana che privilegiò sempre il vitigno come elemento distintivo della produzione enologica, mentre altrove – penso soprattutto alla Francia – si metteva l’accento sulla proprietà e sul terroir.
È questa la differenza principale fra la tradizione enologica francese e quella italiana. Oltralpe si enfatizza il produttore, il chateau di riferimento, la parcella di territorio che, interagendo con il lavoro dell’uomo, rende possibile la creazione di un vino con le sue inimitabili caratteristiche; la tipologia del vitigno, nelle etichette francesi, spesso non compare neppure. La cultura enologica italiana, al contrario, ha sempre insistito di più sulla tipologia del vitigno (o dei vitigni che, assemblati in varia proporzione, concorrono a costruire un determinato vino). Quasi che, nella tradizione italiana, il dialogo fra natura e cultura – da un lato la qualità specifica della pianta, dall’altro la capacità dell’uomo di valorizzarla col proprio lavoro – riconosca alla prima una sostanziale priorità.