Chiudete gli occhi e pensate alle Grandi Opere: a parte Silvio Berlusconi in tivù da Bruno Vespa, con la carta d’Italia puntata di rosso, cosa vi viene in mente? Ponti sugli stretti? Trafori ferroviari ad alta velocità che sbucazzano Alpi e Appennini? Autostrade? Dighe mobili? Le Grandi Opere sono sempre un elenco di meraviglie e richiamano alla mente le meraviglie del mondo: le Piramidi, i Giardini Pensili di Babilonia, il Colosso di Rodi o la Salerno-Reggio Calabria. Ma pensando alle Grandi Opere tocca pensare anche a qualcos’altro: ai soldi, molti, che servono per costruirle; agli appalti spesso poco trasparenti; alle infiltrazioni mafiose sempre troppo probabili; agli eterni ritardi (perché per allargare la Salerno-Reggio Calabria serve più tempo che per tirar su la Grande Muraglia?).
Poi costi che lievitano come la pasta da pizza in un pomeriggio di maggio; poi la distruzione del territorio e dei paesaggi.
Ma forse un’eccezione c’è. Si chiama VENTO e ha tutti i numeri per essere una Grande Opera: lunghezza 679 chilometri; indotto generato 100 milioni di euro all’anno; nuovi posti di lavoro 2.000. E poi il primato: la pista ciclabile più lunga d’Italia ed una delle prime in Europa. Perché VENTO permetterebbe di andare da VENezia a TOrino in bicicletta lungo gli argini del Po, deviazione per Milano ed Expo comprese nel prezzo: 80 milioni di euro. Non sono pochi, soprattutto in questi tempi di crisi, ma sono anche l’equivalente di quello che costa costruire due chilometri di autostrada.
E potrebbero venire da fondi europei, ne sono stati stanziati per 6 miliardi e c’è il rischio che se li prendano i tedeschi: lassù le piste ciclabili, molte lungo gli argini dei fiumi, coprono 40.000 chilometri e producono 8 miliardi di indotto all’anno. L’idea non è di un gruppo di ciclomaniaci intossicati da abuso di sostanze dopanti: viene dal Politecnico di Milano, un gruppo di studio capitanato da Paolo Pileri, professore di progettazione e pianificazione urbanistica.
Che va in bicicletta e ci tiene “a far partire anche nel nostro Paese il cicloturismo come fenomeno popolare e positivo. Con un investimento infrastrutturale leggero capace di innescare nuove economie basate sulla fruizione del paesaggio, dei beni culturali, della natura e del buon cibo”. Perché il tracciato di VENTO attraversa 14.000 aziende agricole, si intreccia con 115 stazioni ferroviarie e diversi approdi di battelli, incrocia 2.000 negozi e 300 attività ricettive.
Facile prevedere che ne nascerebbero altri: a noi piace l’idea di una rete di Bicigrill, stazioni di servizio per la mobilità dolce. Il 15% del tracciato, 100 chilometri, è già ciclabile. Con pochi cambi delle regole di utilizzo di argini, stradine e sentieri altri 284 chilometri (il 42%) lo possono diventare alla svelta. Per il 22% del tragitto occorrono interventi leggeri; per il restante 21% lavori più impegnativi. Ma si potrebbe fare tutto in due anni o tre anni.
E allora vale la pena inforcare la bicicletta e accodarsi al professor Pileri e i suoi che tra il 6 e il 15 giugno pedalano lungo il Po per far conoscere VENTO. E se Ciclabile non vi piace perché fa poco Grande Opera chiamatela Eurovelo 8, dorsale ciclistica strategica europea. Comunque via col VENTO.
VenTo, ciclabile è possibile. Da Venezia a Torino lungo gli argini del Po
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