Parliamo di biciclette e di come potrebbero aiutarci ad uscire da questa stramaledetta pandemia un po’ meglio di come ci siamo entrati. Come persone, stili di vita, consumi, salute e pancetta. Con una premessa: io non sono obiettivo perché mi sono innamorato della bicicletta. Innamorato è troppo: invaghito, una passioncella. È scoppiata 5 anni fa, quando a Milano sono arrivate le bici elettriche del Comune. Il bike sharing c’è dal 2008, ha 350 stazioni sparse per la città e 5mila bici. Le bici non sono proprio il modello più avanzato, quelle in carbonio da 10 chili. Diciamo che si è puntato più sulla robustezza che sul peso. Quando il sindaco era Giuliano Pisapia si diceva che grazie ai suoi trascorsi comunisti aveva comperato dei vecchi carrarmato sovietici, li aveva tagliati con la fiamma ossidrica e trasformati in biciclette: da un T34 ne venivano fuori 4. Così io non l’usavo più di tanto.
Poi, una mattina di maggio, arrivarono quelle elettriche: rosse, più pesanti ancora dei carri armati, ma – meraviglia – tu fai solo il 20-30% dello sforzo. Il resto lo fa il motorino elettrico. O Pisapia, o Peppe Sala. Comunque una specie di miracolo. Ho cominciato ad usarle per andare al lavoro: 12 chilometri tra andata e ritorno, 25 minuti. Faccio un po’ di piste ciclabili, attraverso due parchi, imperverso su un po’ marciapiedi, imbocco una via contromano: è bellissimo! E’ la cosa più bella che mi è capitata da anni. E questo significa due cose: 1-la qualità della mia vita è bassa davvero; 2-la bicicletta da gioia. Io voto la seconda.
Adesso, Fase 2 dell’emergenza Coronavirus, per evitare di ingolfare i mezzi pubblici o di finire nell’ingorgo di troppe auto, Milano punta anche sulle biciclette. Con molte nuove piste ciclabili fatte alla svelta. Una anche in corso Buenos Aires: 350 negozi, la via commerciale più lunga d’Europa. I negozianti non l’hanno presa bene: dicono che perderanno clienti, che si ci saranno ingorghi monumentali perché le piste ciclabili rubano spazio alle auto, che ci resteranno ingabbiati i mezzi di soccorso. In sintesi: moriremo tutti per colpa delle biciclette.
Valerio Montieri, architetto esperto di mobilità, cerca di rassicurarli. Studi fatti in tutto il mondo attestano che la bici è amica del commercio: «Al posto di un’auto parcheggiata ci stanno 10 bici. Un’auto porta un cliente, la bici dieci clienti». Loro sono scettici. Il presidente dei commercianti del Corso, Gabriel Meghnagi, dice: «Ve l’immaginate un cliente che viene in bicicletta a comprare un trolley?». Montieri sfodera altri dati: il 60-65 % degli spostamenti giornalieri in Italia non supera i 5 chilometri, il 40% è addirittura al di sotto dei due. Quindi si possono fare in bicicletta, liberando le strade alle auto di chi viene da lontano. Io capisco le difficoltà dei commercianti: sono tra i più colpiti da questa crisi, sono impauriti. Ma la bici non è un nemico. Mi viene anche in mente, perché sono una persona malevola, che se fosse per loro si parcheggerebbero ancora le auto in piazza Duomo. E adesso prendo la bici e vado in corso Buenos Aires a comprarmi un trolley: non mi serve ma lo porto a casa in bicicletta. Tanto ha le ruote.