Ora che le vacanze estive sono finite e ci si appresta a ricominciare l’anno lavorativo, o scolastico, posso confessarlo: non ho letto quanto avrei dovuto. L’estate, al contrario di quello che ci inducono o ci induciamo a credere non è affatto il miglior momento dell’anno per leggere. Le famigerate “letture sotto l’ombrellone” io non lo so a chi mai appartengano perché quest’estate non ho visto nessuno leggere.
Genitori e nonni tallonati da figli piccoli, adolescenti col pollice deformato dallo smartphone e gli occhi nascosti dietro lenti a specchio. Forse sono io malfidata e invece di postare su Instagram selfie delle proprie dita dei piedi davvero stavano leggendo Proust o studiando la retta nel piano cartesiano, chi può dirlo. Ma nel bel mezzo delle mie amare considerazioni sulla non abitudine alla lettura, mi sono imbattuta nella mappa che esce da una ricerca, Book Desert condotta dal professor Filippo Celata, dell’università La Sapienza di Roma. Terrificante: il deserto rosso dei libri. Il 60% del territorio italiano non ha una libreria e quella più vicina dista almeno mezz’ora di macchina. Certo, i libri si possono acquistare online (e qui nasce la querelle sulla nuova legge sul libro approvata a luglio alla Camera che impedirà a librai e piattaforme digitali sconti superiori al 5 per cento: finora il tetto era il 15 e non si capisce come questo giro di vite, volto a scoraggiare l’acquisto on line, ma di fatto, secondo molti, penalizzante anche per le librerie, dovrebbe giovare ai lettori e alla lettura). E intanto che pensavo, tornavo in luoghi noti e al posto delle librerie che ricordavo ora stanno negozi di vestiti e un fiorire di ristoranti, bar, pizzerie. In Italia resistono 4368 librerie (dati maggio 2019). Non cartolibrerie, edicole o supermercati che vendono anche libri, ma librerie vere, posti dove dentro c’è un essere umano che di mestiere fa la/il libraio/a per consigliare le letture giuste alle persone giuste. Avevo un libraio del cuore, da bambina, Carlo, e amavo la sua libreria Lo Stregatto, a Budrio. Nella noia della controra estiva, quando non si poteva fare rumore: l’unica via di fuga per altri mondi e storie e vite erano i libri. Ora che chiunque ha un tablet o uno smartphone perché mai dovrebbe fare lo sforzo di aprire un libro e mettere sul fuoco un minestrone complesso di immaginazione, intuito, deduzioni, conoscenze acquisite che sobbollono? Perché far sudare il cervello quando si può ci si può refrigerare altrimenti?
Ho di fronte a me un bambino di sette anni che ha appena finito la prima elementare. Forse è ancora presto, ma per rilassarsi non cerca un libro (a meno che non venga letto ad alta voce da qualcuno prima di dormire) ma il tablet per guardare una puntata di Dragon’s trainer. Cosa dovrei fare? Chiuderlo in un armadio con una torcia e un libro e vedere cosa accade? L’obbligo, a una certa età, può essere una letale arma a doppio taglio. Ci provo, a trovare le parole per invogliarlo, ma i piaceri della lettura non sono comunicabili: è come cercare di convincere a nuotare chi ha paura dell’acqua e prova terrore alla sola idea dei pesci abissali. Non vale buttarlo a mare di forza. Cosa accadrà ai libri e a questo bizzarro piacere delle lettura che in troppi non vogliono più conoscere non è dato saperlo. La questione è se questa esperienza che è insieme psicologica, emotiva e conoscitiva sia ancora necessaria all’umanità oppure no. Io penso di sì, ma non trovo altro modo, per spiegarlo, che aprire un libro e mettermi a leggere, anche ad alta voce, certo.