L’umanità ha fatto molto per limitare l’uso delle peggiori armi di distruzione di massa. La produzione e lo stoccaggio delle armi chimiche, per esempio, sono stati messi al bando dalle Nazioni Unite con una Convenzione del 1993.
Ma ci sono altre armi chimiche pericolosamente disseminate molto vicino a noi: le scarpe da ginnastica degli adolescenti. Sono uno degli oggetti più nocivi mai inventati, per un concorso di cause: un po’ per le materie plastiche con cui sono realizzate, un po’ per la capacità sudatoria del piede dell’adolescente – superiore per traspirazione inquinante a qualsiasi forma di vita animale finora conosciuta – un po’ per la capacità criminale dell’adolescente medesimo. Questi, entrato in casa al ritorno dalla palestra o dal basket, si fionda davanti al computer dopo aver saccheggiato il frigorifero e abbandonato la borsa con le scarpe da qualche parte in mezzo al corridoio. Nelle scarpe sudate ha precedentemente provveduto ad incastrare a pressione i calzini altrettanto fetidi: un innesco letale.
All’ultimatum di un adulto (“Metti via quella borsa, tira fuori le cose da lavare”) l’adolescente risponde bofonchiando – quando risponde – e poi si limita a infilare in un armadio o nel ripostiglio la borsa da ginnastica con la bomba sporca scarpa/calzino che continuerà a fermentare nell’umidità batteriologica. Verrà rinvenuta qualche giorno dopo dalla madre o dal padre, impunemente aperta dal medesimo che, quando sopravvive alla vampata tossica, se ne frega della Risoluzione ONU del 1993 e cerca di fare giustizia sommaria sulla testa dura del minore.
I costi sociali delle scarpe da ginnastica abbandonate sono enormi, amplificati dalla moda dilagante delle sneakers, scarpe da ginnastica travestite da altre scarpe. Così il pericolo si è moltiplicato: come rimuoverlo dalle nostre case? Che ne facciamo delle scarpe da ginnastica a fine vita?
Una speranza viene da Roma: da questo mese in cento scuole della capitale ci sono appositi raccoglitori di scarpe da ginnastica usate. Poi la tomaia viene separata dalla suola e quest’ultima rinasce come materiale plastico per la pavimentazione delle piste di atletica. O per fare il pavimento morbido delle aree giochi, dove il bambino se cade rimbalza senza farsi male e senza frignare.
E così diminuiscono i rifiuti destinati alla discarica e cresce tra i ragazzi la cultura del riciclo, da coltivare sempre, meglio se con un pizzico di creatività. Qui il Comune di Roma lo ha trovato coinvolgendo Manuela Olivieri Mennea, la moglie di Pietro Mennea, il campione olimpico dei 200 metri piani a Mosca 1980 e primatista mondiale per 17 anni.
Lei ha donato alla campagna le scarpe da corsa del marito: da esse proverrà una piccola porzione di materiale che sarà impiegato per la pavimentazione di ciascuna pista di atletica. Così il progetto si chiama “La pista di Pietro”. Dietro c’è l’intelligenza di un imprenditore molto attivo nel sociale, Nicolas Meletiou, che aveva già lanciato negli anni scorsi il primo ed unico progetto di riciclo delle scarpe sportive in Italia e in Europa. E per l’estate altri box negli stabilimenti balneari del litorale romano: per raccogliere anche le infradito usate..