Estate: si suda in città o ci si abbronza al mare. A cena una mozzarella fresca. Noi guardiamo avanti: pensiamo al Natale e al pandoro. Con una storia che ha dentro tante cose e un simbolo alto, un lievito. Comincia nel 1894 con un pasticcere veronese che fa più esperimenti di Archimede e inventa un nuovo dolce con farina, latte, burro, uova e lieviti. Dice la leggenda – un po’ di leggenda ci vuole sempre – che un ragazzo di bottega lo assaggia e esclama che “L’è proprio un pan de oro!”.
Pandoro, dunque. Grande successo: ad inizio ‘900 i medici lo consigliano alle donne in dolce attesa; negli anni ‘70 arriva nei supermercati ed in televisione. Franca Valeri lo regala ad un Babbo Natale depresso: “La fortuna lo sai con Melegatti è più dolce che mai”. Un altro Babbo Natale, Bud Spencer, prende a cazzotti due malintenzionati che provano a rubare il pandoro a una nonnina. Nel 2005 per la Melegatti inizia la crisi. Non si vive di soli pandori e panettoni, bisogna fare anche biscotti e brioches, vendere tutto l’anno. L’azienda ci prova, ma è troppo tardi. Un anno fa, agosto 2017, tutto precipita: stipendi non pagati, produzione ferma, stato di crisi, tribunale. Un tentativo di rilancio a novembre: riparte lo stabilimento, si infornano 1.750.000 pandori e panettoni da vendere prima di Natale. Parte una campagna di solidarietà via social network, funziona. Per i 350 lavoratori dello stabilimento del veronese, tra fissi e stagionali, si riaccende la speranza.
Poi si spegne: il 29 maggio 2018 il Tribunale decreta il fallimento. Adesso, entro fine luglio, c’è un’asta per trovare un compratore e ripartire. In tutti questi mesi, con la fabbrica chiusa, il futuro incerto, le tensioni, i dipendenti si sono sempre occupati del lievito madre. È lo stesso dal 1894. Matteo Peraro, 36 anni, uno dei dipendenti: «Ho parlato con il collega che c’era prima di me, quando è andato in pensione: il lievito madre è sempre stato tenuto vivo giorno dopo giorno, in guerra e in pace, con il brutto e il bel tempo, nelle fasi di crisi e in quelle del boom. Ogni mattina, anche adesso che è tutto chiuso, arriviamo in azienda verso le 10, entriamo nella stanza dove ci sono due macchine impastatrici che simulano il movimento delle braccia di un uomo. Hanno un andamento lento per evitare che l’impasto si surriscaldi. La temperatura deve restare sempre compresa tra i 24 e 32 gradi. Il nostro compito è aggiungere quanto serve di lievito e di una farina speciale. Poi i ragazzi del laboratorio chimico fanno un controllo per vedere che sia tutto a posto». Così se riparte la produzione siamo pronti.
Adesso c’è un’azienda della provincia di Treviso, si chiama Bienologia 2.0, ha 50 dipendenti, fa lieviti di alta qualità per vino, birra e pane e vuole adottare il lievito madre della Melegatti. «Così lo mettiamo in sicurezza, dice Maurizio Polo, l’amministratore, e già che ci siamo lo mappiamo geneticamente. Un lievito così vale un mucchio di soldi, anche 50-100mila euro. Se va bene si ricomincia a fare il pandoro, se va male ci escono un po’ di soldi per i Tfr». Intanto lui ha offerto un lavoro a Matteo Peraro. A noi, purché questa storia vada a finire bene, vien voglia di pandoro anche a Ferragosto.