Sappiamo fare cose bellissime, noi umani. Poi facciamo guerre, distruggiamo il pianeta, procuriamo dolore e facciamo traballare il futuro dei nostri figli. Ma sappiamo fare cose bellissime, precise e spettacolari.

Giusto un anno fa, il 21 novembre 2021, era domenica, dalla base aerea di Vandenberg, Santa Barbara, California, abbiamo lanciato in cielo un bel razzotto Falcon 9 con dentro Dart, un cubattolo di 1,2 metri per lato, 610 chili di peso, un serbatoio da 50 chili di idrazina e uno da 60 di xeno per alimentare un propulsore ionico a griglia. Dart è una “sonda spaziale a basso costo”, a dimostrazione che noi – l’umanità – si sa fare bene anche spendendo il giusto. Il 7 dicembre 2021, a 3 milioni di chilometri dalla Terra, Dart ha tolto il coperchio alla fotocamera e ha fotografato un paio di stelle. Il 10 ha ripreso l’ammasso aperto Messier 38; il 27 maggio 2022 ha immortalato Vega e ai primi di luglio Giove con Europa, la sua luna che emerge da dietro. Belle foto, ma giusto per calibrare ottica e fotometria. Il 27 luglio lo ha visto: è ancora lontanuccio – 32 milioni di chilometri – ma è lui, Didymos, un asteroide di 780 metri di diametro. Dietro c’è Dimorphos, 160 metri, come un campo di calcio e mezzo.

L’11 settembre Dart apre il bagagliaio e libera un’altra sonda, LiciaCube. È grande quanto una scatola da scarpe, pesa 14 chili, è made in Torino, è l’oggetto italiano che è andato più lontano da casa, nello spazio profondo. È un satellite fotoreporter. I due si salutano. Dart spinge al massimo il motore a ioni, LiciaCube cerca il posto giusto per seguire lo spettacolo. All’1,14 del 27 settembre – è una data importante nella storia dell’umanità, segnatevela – a 13 milioni di chilometri dalla Terra, Dart tampona deliberatamente Dimorphos viaggiando a 21 mila chilometri all’ora. Un botto impressionante. La telecamera di bordo, guidata da un sensore d’assetto fatto in Italia da Leonardo, trasmette immagini sempre più ravvicinate. Fino al primo piano della superficie di rocce aguzze. Poi il grande spatascio. È una prova di difesa planetaria: colpire un asteroide diretto sulla Terra. Eventualità remota, ma è capitato: nel 1908 un’oggetto spaziale mancò di poco San Pietroburgo e rase al suolo 2 mila chilometri quadrati di foresta. Era un sassetto da 50 metri.

Dart ha spostato l’orbita di Dimorphos dell’1%, quanto basta se fosse stato una minaccia; LiciaCube ha fotografato tutto. David Avino, 52 anni, informatico, nel 2008 ha fondato l’azienda che ha costruito LiciaCube. Ha addestrato Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti e ha tremato nelle 18 ore in cui LiciaCube ha navigato in autonomia con la sua intelligenza artificiale. Ma tutto bene: ha scovato l’asteroide, si è messa alla distanza corretta – 50 chilometri – lo ha tenuto stabile nell’obbiettivo ruotando il giusto mentre viaggiava a 25 mila chilometri all’ora. Poi ha scattato. «Alla Nasa serviva una foto – dice Avino – ne ha fatte 620». Il telescopio di Cerro Pachón, in Cile, ha visto il pennacchio di polvere e detriti rilasciato da Dimorphos: una scia lunga 10 mila chilometri, come la coda di una cometa.

Sappiamo fare cose bellissime, noi umani.

E tranquilli: abbiamo anche calcolato che con la nuova orbita Dimorphos non ci verrà addosso.

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