Di sostenibilità ambientale si parla sempre di più, se ne occupano le istituzioni internazionali, la giurisprudenza, i manager, la scienza, perfino i politici. Certo, tante le parole, ancora pochi i fatti, ma ho l’impressione che ora l’anello debole siano i cittadini, distratti e convinti che ad ogni problema sempre più complesso che affligge il nostro mondo debba essere qualcuno di superiore a loro a dover trovare soluzione.
Così un giorno d’autunno mi trovavo al distributore di latte fresco in una cascina nei dintorni di Torino. Arriva un Suv, guidato da una donna, che scende con le sue bottiglie e lascia il motore acceso. Gentilmente faccio notare che ha dimenticato l’auto in moto e che a nulla servono i grandi accordi internazionali sul clima se poi noi per primi siamo indifferenti anche verso gesti assolutamente banali come quello di girare la chiave nel cruscotto. Mi lancia un’occhiata feroce e sibila indispettita: «Ma tanto vado via subito», come se il gasolio che bruciava inutilmente nel suo mezzo non producesse CO2. Ho pensato, ma se non si riesce neppure a vincere la pigrizia di un atteggiamento assolutamente inutile (non procura alcun vantaggio) e addirittura costoso (sia pur per pochi centesimi di euro di carburante ogni minuto), figuriamoci se si chiedesse a quella persona qualche rinuncia più gravosa in favore dell’ambiente! Un pomeriggio davanti al Politecnico di Torino un gruppo di studenti festeggia la laurea. Sparano coriandoli e petali con dei tubi ad aria compressa, che costano un paio d’euro e vanno forte anche ai matrimoni. Pochi secondi di colore, poi il suolo resta cosparso di frammenti di plastica, alcuni piccolissimi, che si nascondono tra le aiuole del parco, cadono nei tombini.
Costi sociali per il lavoro dei netturbini, e costi ambientali irreversibili per la dispersione a lungo termine di ciò che diventerà microplastica tossica e persistente. Studenti laureati dunque in indifferenza e superficialità. Visto che insegno sostenibilità ambientale ho pensato di andare a dir loro qualcosa, ma ho desistito, per non sentirmi rispondere: «Ecco, voi ambientalisti ci volete togliere anche le feste». Sarebbe stato un gigantesco equivoco comunicativo, visto che le feste di laurea le abbiamo sempre fatte divertendoci anche senza tubi sparacoriandoli di plastica, ma l’ipersemplificazione dei problemi è la madre delle catastrofi sociali, come gli untori durante la peste manzoniana. Quindi sarebbe più facile che fosse la politica a proibire quei dispositivi inutili e inquinanti, così non se ne troverebbero in vendita e basta. Insomma, come vedete è facile parlare di sostenibilità, ma è più difficile praticarla, anche quando non richiede alcuna rinuncia, alcuno sforzo, ma soltanto un po’ di attenzione.
Moltissime persone non mettono l’ambiente tra le loro priorità, e non valutano le conseguenze delle loro azioni (quel grammo di CO2 in più della mia macchina sarà una tempesta più violenta sui miei figli, quella plastica nel tombino sarà il cancro della tua vecchiaia). Sono indifferenti e pigre, e diventano aggressive quando qualcuno fa loro notare questi che sembrano dettagli, ma sono sintomi gravissimi dell’incapacità degli individui a cambiare per un mondo più pulito.