Serve per attenuare un po’ la cattiveria di questa crisi economica che sembra non finire mai; mette la solidarietà al centro dei rapporti di lavoro, in un periodo in cui la paura per il futuro scatena gli egoismi; cambia anche i rapporti tra i “padri” – quelli abituati al lavoro stabile – ed i “figli”, quelli cresciuti nei rapporti di lavoro precari in eterno.
È quindi una bellissima innovazione, con un dubbio. Succede a Reggio Emilia: c’é un’azienda che si chiama Ifoa, esiste da 40 anni ed ha 85 dipendenti fissi più altri 29 precari. Vende corsi di formazione (e progetti di sviluppo internzionale), ha sedi anche a Bologna, Modena, Parma, Milano, Padova, Firenze e Bari. Ad un certo punto bisogna decidere cosa fare per i 29 colleghi non stabilizzati, che pur avendo contratti del tutto regolari non si capisce in cosa differiscano da chi ha un posto fisso. Sono soprattutto co.co.pro., e lavorano in azienda, fianco a fianco con gli altri, anche da 8 o 9 anni. Così si discute con i sindacati. “È una vertenza lunga e a tratti in salita”, racconta Marco Barilli, segretario reggiano del Nidil, il sindacato dei lavoratori atipici della Cgil, che tratta per i precari mentre per gli assunti ci sono i sindacati del commercio di Cgil e Cisl, “abbiamo iniziato ad incontrare lavoratori ed impresa a novembre”. In azienda se ne parla molto.
A febbraio si trova un’ipotesi di soluzione, mai sperimentata prima da nessuno in Italia: due ore di lavoro in meno alla settimana per gli assunti, è il 5% del monte orario e significa uno stipendio più basso di una cinquantina di euro, in cambio del posto più stabile per gli altri 29. Altre discussioni. Poi l’ipotesi di accordo va al referendum tra i lavoratori di tutte le filiali: votano in 80 ed i Sì sono 65. “I neoassunti sono persone che lavorano con noi da anni ed è giusto che vengano tutelati”, dicono i lavoratori.
Pur passando da 40 a 38 ore di lavoro restano come prima contributi e trattamento di fine rapporto. L’azienda ci guadagna perché per le nuove assunzioni porta a casa degli sgravi da parte dello stato.
Il direttore di Ifoa Umberto Lonardoni ci tiene a dire che “tutti i dipendenti, con senso di unità e coesione, hanno materialmente messo mano al proprio portafoglio per venire incontro ad una esigenza contingente aiutando l’azienda ad applicare la manovra di assunzione. Facendo un pezzo di cambiamento che non aveva saputo fare la riforma Fornero”.
Quella dell’Ifoa è la prima applicazione in Italia della solidarietà espansiva. Si è usata molto un’altra solidarietà, quella difensiva, che incentiva accordi sulla riduzione dell’orario di lavoro per fronteggiare meglio un periodo di crisi. La solidarietà espansiva invece è una forma di aiuto alle imprese che vogliono crescere, e prevede appunto la riduzione dell’orario di lavoro per incentivare ad assumere. L’unico dubbio: la legge che inventa questa possibilità ha quasi 30 anni.
È la n. 863, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 22 dicembre 1984, sotto Natale. Ma fino ad oggi nessuno aveva provato ad utilizzarla. Tocca chiedersi perché e crediamo tocchi all’Ifoa e ai suoi lavoratori cominciare a farci su dei bei corsi di formazione.
Solidarietà espansiva. Ovvero stabilizzare i precari si può
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