Cibo è cultura

Se la tradizione sopravvive grazie all’importazione…

Tema: la cucina di territorio.

Svolgimento: cena fra amici in una trattoria della bassa ferrarese, per assaggiare prodotti e ricette della tradizione locale.

Menù: risotto con le rane (dolce, delicato) e anatre di valle (cottura prolungata in tegame, carne succulenta che si scioglie in bocca).

Problema: le rane vengono dall’Albania.

Altro problema: le anatre vengono dalla valle della Loira.

Domanda: siamo di fronte a una cucina di territorio, o a una declinazione anomala della globalizzazione alimentare?
Risposta giusta: la seconda. Ma anche la prima.

È un paradosso della contemporaneità: il mondo è ormai tutt’uno, i prodotti circolano ovunque. Ma ciò non genera solamente fenomeni di omologazione culturale, modelli alimentari uguali dappertutto, che inseguendosi da un luogo all’altro perdono significato e annegano nel mare dell’indifferenza. In certi casi (come nella piccola storia che ho evocato) il cibo arrivato da territori lontani serve a preservare le tradizioni locali, a procurare l’ingrediente che al momento non c’è, a restaurare la ricetta pericolante, a ripristinare un menù che altrimenti perderebbe pezzi significativi.

Questa vicenda, e tante analoghe che si potrebbero raccontare, mostra che il cibo è anche un luogo della memoria. Oltre che a nutrire il corpo, esso serve a ribadire identità individuali e appartenenze collettive. Chi è nato in un luogo si riconosce in un modello di cucina che resta unico, irripetibile: soprattutto in un paese come il nostro, almeno in questo fortunato e inimitabile, la diversità geografica e storica si riflette in una straordinaria varietà di tradizioni culinarie, e proprio il rischio dell’omologazione (non di rado vincente) sostiene e rafforza le scelte di chi resta affezionato al cibo e alle ricette del suo territorio. O che ama conoscere il cibo e le ricette degli altri territori. Perché “territorio” è una parola che si declina al plurale: solo nel confronto e nello scambio le culture di territorio trovano la loro ragion d’essere. Quale affezione, quale curiosità potremmo avere per una cultura che, isolata dalle altre, non si potesse confrontare?

Capita, poi, che dal confronto fra i territori possano nascere sottili concordanze e impensate solidarietà, legami di complicità fondati sull’affinità della geografia, delle risorse, delle culture. Territori lontani possono scoprirsi più vicini del previsto, grazie ai meccanismi di un mercato che non conosce più confini. Ma a questo punto non è più solo questione di mercato, di economia, di marketing. Se l’Albania o la valle della Loira possono aiutarci a conservare almeno un po’ di quello che avevamo, perché non accettare questo imprevisto regalo della globalizzazione?

Condividi su

Lascia un commento

Dicci la tua! Scrivi nello spazio qui sotto cosa pensi dell’articolo, la tua opinione è importante per noi.

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere

Iscriviti alla
newsletter

di Consumatori

Ricevi ogni mese via mail la rivista digitale e le notizie più interessanti