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Il regno degli algoritmi e la trappola dell’attenzione

Siamo potenzialmente sempre in contatto con amici e conoscenti, seguiamo da vicino i nostri cantanti e calciatori preferiti, e, se c’è una causa che ci appassiona, abbiamo a disposizione un’enorme quantità di materiali a supporto delle nostre tesi: difficile smettere di scorrere lo schermo, saltare da un link all’altro, controllare le notifiche.

In teoria questa enorme disponibilità di dati è un fattore di libertà: abbiamo più scelte, più opzioni, più accesso. Ma, nella pratica, in che misura siamo noi a scegliere che informazioni consumare, e quanto invece il nostro menu informativo è deciso per noi da algoritmi su cui abbiamo poco o nessun controllo?

Google ci mostra risultati di ricerca influenzati dalla nostra storia di navigazione; Facebook compone la nostra bacheca secondo il criterio della rilevanza, privilegiando persone e contenuti con cui interagiamo di più. Anche Twitter e Instagram, che un tempo mostravano i post secondo un rigido criterio cronologico, ora mettono in cima alla pagina quello che a loro giudizio potrebbe interessarci: di conseguenza continuiamo a leggere, commentare e inoltrare più o meno sempre le stesse cose, perpetuando il meccanismo che ci chiude un po’ alla volta nella cosiddetta bolla informativa.

E le piattaforme accumulano sempre più dati su di noi: interessi, abitudini di navigazione, dove viviamo, con chi siamo connessi, che acquisti facciamo online. I dati servono agli inserzionisti per scegliere a chi mostrare gli annunci, con tecniche di profilazione sempre più raffinate e potenziate dall’intelligenza artificiale: così noi vediamo ciò che vogliamo vedere, che conferma le nostre opinioni o è alla portata del nostro tenore di vita, e ci convinciamo un po’ alla volta che il mondo è fatto a nostra immagine e somiglianza.

Non è una novità: anche prima di internet le persone tendevano ad aggregarsi per affinità, i simili coi simili. Ma oggi la velocità di propagazione e la pervasività dell’informazione sono enormemente cresciute, il che moltiplica la pericolosità di fake news e messaggi estremi e polarizzati.

È possibile invertire la rotta? Di certo non è facile. Dobbiamo prendere coscienza di quanto siamo manipolabili, coltivare lo spirito critico, non accontentarci di quel che ci viene messo davanti agli occhi. E abituarci a staccare più spesso gli occhi dallo schermo, per guardare la realtà da punti di vista diversi.

La segnalazione: l’allarme dell’ex advisor di facebook
Roger McNamee, investitore ed ex advisor di Facebook, ha di recente espresso forti preoccupazioni sul modo in cui le possibilità di profilazione e manipolazione offerte dalle grandi piattaforme web hanno influenzato pesantemente fenomeni come la Brexit e le elezioni presidenziali Usa. Secondo McNamee, Facebook, Google e le altre grandi piattaforme del web devono prendere atto delle proprie responsabilità, smettere di porre gli interessi degli inserzionisti davanti a quelli degli utenti, e iniziare a porre rimedio ai danni che stanno provocando alla società, anche a discapito dei propri profitti.

Qui la sua intervista a CBS News >> alebego.li/McNameeCBS

Tag: fake news

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