Non sempre la volontà popolare è stata rispettata in questo paese, neanche quando si è espressa direttamente tramite i referendum abrogativi. Ma quanto sta accadendo in questa circostanza è paradossale, anche se, a ben vedere, ha una spiegazione molto convincente. Dopo i fatti di Fukushima la stragrande maggioranza degli italiani è contraria al ritorno all’energia nucleare ed è disposta addirittura ad andare a votare invece che recarsi al mare. Le autorità politiche di maggioranza, presidente del consiglio in testa, però, spiegano che l’abrogazione della legge oggetto di referendum (che lo rende, in teoria, inutile) è stata sostenuta dal governo stesso, non perché convinto della bontà delle ragioni dei referendari, ma bensì perché gli italiani non sono maturi abbastanza per prendere decisioni così importanti.
O che queste decisioni sarebbero, in ogni caso, troppo emotive, per cui ne riparliamo quando il Giappone sarà dimenticato. La volontà popolare, cioè, espressa nei voti politici è sempre buona, ma nei referendum no, perché c’è il caso che non aderisca ai desiderata di chi governa. E quali sono questi desiderata? A che logica rispondono? Prima di rispondere vediamo l’altra materia referendaria, la privatizzazione dei servizi idrici, legge per cui i privati avrebbero vantaggi nella concessione dei servizi degli acquedotti e della depurazione. Si dice per migliorare il servizio. Ma questa è davvero la balla più grossa che potesse essere recapitata ai cittadini: come può migliorare il servizio dell’acqua dentro casa? In tutte le abitazioni l’acqua arriva regolarmente.
Come si migliora questo servizio? Si manda nelle tubature acqua minerale? Colorata? Profumata? Siccome è chiaro che nessun privato metterebbe mano alla manutenzione degli acquedotti colabrodo d’Italia (costo 60 miliardi di euro, voglio vedere chi si avvicina) e siccome il servizio non si può migliorare e l’acqua costa pochissimo (1 euro per 1.000 litri), c’è una sola ragione per cui un privato potrebbe appetire l’affare dell’acqua: l’aumento delle tariffe a parità di servizio offerto. E qui si chiude il cerchio con il nucleare: gli industriali italiani puntano su atomo e acqua per lo stesso motivo, per farci denari.
Sull’acqua, garantendosi un piccolo guadagno ma costante nel tempo (30 anni di concessione e basta raddoppiare i prezzi), sul nucleare privatizzando i profitti e accollando allo stato le perdite, tanto che l’amministratore delegato di Eni ha pubblicamente sostenuto che in Italia nessuno può tornare al nucleare se lo Stato non si prende carico delle scorie e degli eventuali incidenti (come del resto accade in tutto il resto del mondo). Ecco perché non si vuole ascoltare la volontà popolare nei referendum e perché li si depotenzia anche solo annunciando che tanto il voto non servirà a niente. Ecco quali sono gli interessi in gioco ed ecco perché è facile sapere da che parte stare. Legittimo impedimento a parte.
Mario Tozzi