Il crollo del viadotto Morandi a Genova ripropone il tema della manutenzione capillare delle infrastrutture esistenti contrapponendolo alla smania per la costruzione di nuove grandi opere. Di queste ultime ce ne sono certamente di utili ma pure molte inutili, dannose e costose che andrebbero evitate. Le grandi opere trasportistiche come autostrade, superstrade e ferrovie, sono molto costose e impattanti e gli studi internazionali, come quelli del danese Bent Flyvbjerg dimostrano che in fase di progetto i vantaggi sono sempre molto gonfiati rispetto alla realtà dopo la costruzione, con frequenti fallimenti e grave spreco di denaro pubblico. Marco Ponti del Politecnico di Milano esamina la situazione italiana nel saggio dal titolo “Sola andata – Trasporti, grandi opere e spese pubbliche senza ritorno”, edito da Università Bocconi.

Ponti ritiene che in Italia di infrastrutture ce ne siano già abbastanza e che i nuovi megaprogetti propagandati come indispensabili, anche con fini ambientali molto dubbi, è improbabile che siano decisivi per lo sviluppo del paese, però costano miliardi di euro, e favoriscono interessi concentrati in poche mani. D’altra parte anche la Convenzione di Aarhus sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale, firmata il 25 giugno 1998 e ratificata in Italia nel 2001, chiede all’articolo 6.4 che “la partecipazione del pubblico avvenga in una fase iniziale, quando tutte le alternative sono ancora praticabili e tale partecipazione può avere un’influenza effettiva”. In realtà la prassi italiana si basa spesso su un gruppo di proponenti che elabora a porte chiuse progetti estremamente costosi, tipo ponte sullo Stretto di Messina, seguita da una prima autorizzazione condotta più o meno nel silenzio e nell’ombra dei corridoi della burocrazia e poi un annuncio ai territori praticamente a progetto chiuso, quando entro pochi giorni è previsto l’arrivo delle ruspe.

È normale che questo generi una valanga di “no” e una perdita di fiducia nelle istituzioni. I grandi progetti devono essere discussi prima di ogni atto deliberativo, quando sono soltanto a livello di proposta. Dopo è tardi, lo provano mille esempi, come il Mose a Venezia, il Tav Torino-Lione e le Olimpiadi invernali in Val di Susa, il terzo Valico tra Liguria e Piemonte, l’autostrada Bre-Be-Mi e la pedemontana veneta. Nonostante l’intervento di commissioni formate da autorevoli esperti, che mettono in luce i punti deboli dei progetti o le alternative meno impattanti e meno costose, non c’è mai verso di fermare un processo iniziato, dichiarato spesso dai governi stessi come “irreversibile”.

Ora che però l’invecchiamento del cemento armato – quello sì irreversibile –  rischia di mettere il Paese di fronte al “grande sgretolamento”, forse sarebbe importante dirigere le risorse verso una grande opera sì, ma diffusa sul territorio, fatta di migliaia di piccoli interventi mirati a mantenere in buono stato quello che già abbiamo. Continuare ad aggiungere nuovi manufatti, specie se imponenti, in preda a una bulimia cementizia, rischia di deturpare ulteriormente un paesaggio ormai saturo e di farci cadere nell’impossibilità di mantenerli in buono stato per mancanza di risorse.

Tag: grandi opere, territorio, ponte morandi, manutenzione

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2 Commenti. Nuovo commento

  • tutto chiaro e condivisibile – Mercalli è un mito – bisogna divulgare sempre di più, tanto più ora che hanno chiuso la sua trasmissione
    Come si fa a condividere in facebook?

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    • Ciao Maria Grazia, per condividere l’articolo sui social troverai le varie icone in alto a destra andando con il mouse sul piccolo spazio bianco, di fianco all’icona dei commenti.
      Grazie per la segnalazione, cercheremo di renderlo più evidente.

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