Quando vado in pizzeria chiedo spesso una “quattro stagioni”. È un nome che mi piace, e mi incuriosisce scoprire che cosa esso nasconda. Una ricetta “standard” infatti non esiste, anche se alcuni ingredienti sono più abituali di altri: il prosciutto crudo o cotto, i funghi secchi, i carciofini sott’olio, le uova sode, talvolta la salsiccia.
Domanda: che cosa hanno a che fare quegli ingredienti con la stagionalità? I salumi o i funghi secchi non conoscono stagioni, anzi, sembrano fatti apposta per contraddire il passare del tempo, per prolungare lungo il corso dell’anno il consumo di prodotti abilmente conservati. Il nome di quella pizza in realtà rischia di trarre in inganno. Potrebbe far pensare al ritmo della natura, alle stagioni che si rincorrono lasciando spazio a cibi nuovi mentre altri scompaiono ma le cose stanno proprio all’opposto: l’idea della “quattro stagioni” è piuttosto quella di tenere tutto insieme, di annullare lo scorrere del tempo, di riunire in un unico piatto i cibi della prima, della seconda, della terza e della quarta stagione.
È un’idea antica: i signori del Medioevo e del Rinascimento, che volevano a tutti i costi distinguersi dai contadini, amavano raccogliere sulla propria tavola cibi “fuori stagione”, facendoli arrivare da luoghi diversi o prolungando artificiosamente i loro tempi di crescita. L’artificio, non la natura era a quel tempo un segno di prestigio: offrire fragole a novembre o piselli a febbraio; far durare le pere fino all’inverno inoltrato; fingere, negli addobbi di corte, che in pieno inverno sbocciasse la primavera o trionfasse l’estate; accumulare fiori e frutti “di ogni stagione” così da produrre negli ospiti spaesamento, stupore. “Tale era l’abbondanza e la varietà dei cibi”, si legge in un testo cinquecentesco, “che le quattro stagioni parevano raccolte insieme a banchetto”.
Questo facevano i signori, a cui mezzi e denari non mancavano. Ma gli stessi contadini contrastavano lo scorrere delle stagioni, ingegnandosi a conservare carni e pesci, verdure, frutti, latticini oltre il loro ciclo naturale: così, in qualche momento della storia, nacquero i formaggi, i salumi, la carnesecca e il pesce affumicato, le confetture, le conserve sott’olio o sott’aceto. Soprattutto a questo modello contadino, per ragioni di economia, pare collegarsi l’idea della nostra pizza, che conosce solo “stagioni conservate”. Ben altrimenti lussuosa sarebbe una pizza con prodotti freschi “fuori stagione” – ma oggi, a differenza che nel Medioevo, non la apprezzeremmo granchè. Oggi l’idea del cibo di stagione, un tempo percepita come segno di povertà, si è emancipata diventando essa stessa prestigiosa. Allora è forse il tempo di lanciare una proposta, che affido alla fantasia dei pizzaioli: inventare una “quattro stagioni” che non sia più un compendio di cibi conservati ma una proposta davvero “stagionale”, fatta con prodotti freschi che cambiano nel corso dell’anno. Quattro pizze al posto di una.
Massimo Montanari