Prima dell’avvento dei combustibili fossili a buon prezzo lo spreco era rarissimo. In un mondo dove procurarsi cibo, energia e materie prime significava tanta fatica fisica, non si buttava via nulla e chi lo faceva per ostentazione della ricchezza e disprezzo dei poveri era bollato dai filosofi dell’antichità. Oggi, gli schiavi in carne e ossa che permettevano a pochi di sprecare cibo e risorse sono sostituiti dagli schiavi energetici fatti di elettricità, petrolio e gas: in media è come se 60 persone lavorassero giorno e notte per ciascuno di noi.
Se molta di questa energia è sacrosanta per consentirci di vivere dignitosamente senza ammazzarci di fatica e di privazioni, per permetterci una casa comoda, calda d’inverno e fresca d’estate, per offrirci mezzi di trasporto rapidi e confortevoli e cibo vario, nutriente e abbondante, è pur vero che circa un terzo di quella che utilizziamo va dissipata sotto forma di sprechi, sempre più intollerabili in un’epoca segnata dalla crisi climatica e ambientale.
Sprechiamo energia nelle nostre case prive di isolamento termico e piene di spifferi, dimenticando accesi elettrodomestici e lampade, utilizzando automobili troppo potenti rispetto alle reali necessità di trasporto. Sprechiamo per disattenzione, per sfida sociale, per abitudine. Riteniamo che la parsimonia e la moderazione siano sinonimo di avarizia e miseria, e le respingiamo confondendole con sgradevoli ricordi di poco più di mezzo secolo fa, quando la povertà regnava in un’Italia rurale uscita dalla guerra.
Invece quel senso della misura e l’avversione allo spreco erano una virtù da preservare e mantenere anche con l’arrivo del benessere, in quanto prima regola per evitare il degrado ambientale. È così che oggi vediamo sprecare un terzo del cibo che compriamo perché si deteriora prima di esser consumato, e addirittura al ristorante non è raro veder buttare via sontuose portate appena scalfite da una forchetta.
C’è di che indignarsi se pensiamo al costo energetico, alla deforestazione e ai pesticidi che sono dietro agli alimenti, nonché agli oltre ottocento milioni di poveri che nel mondo non hanno di che nutrirsi a sufficienza. Sprechiamo oggetti, seguendo mode effimere che ci inducono a buttar via vestiti e calzature ancora perfettamente integri: vale la pena leggere “Lavorare con i piedi: ciò che le tue scarpe stanno facendo al mondo” di Tansy Hoskins (Einaudi). Sprechiamo lasciando l’auto con il motore acceso mentre scendiamo “solo un attimo”, sprechiamo scegliendo i bar con stufette a gas per “scaldare i dehors” quando basta indossare un giubbotto: alcuni comuni francesi le stanno vietando.
Sprechiamo quando entriamo in negozi che tengono le porte aperte buttando al vento prezioso calore d’inverno e frescura d’estate: paghiamo quest’eresia nel prezzo dei prodotti e nell’aria inquinata che respireremo. Sprechiamo quando non facciamo la raccolta differenziata, quando non cerchiamo di riparare oggetti che hanno guasti minimi, quando optiamo per materiali “usa e getta” invece che “usa e riusa”. Insomma, lo spreco è stupido: costa denaro e soprattutto distrugge l’ambiente.