In natura non esistono pasti gratis: se usiamo un servizio senza pagare ci deve essere qualcuno che salda i conti, e su Internet questo qualcuno è quasi sempre la pubblicità.
La pubblicità prima di Internet: sparare e sperare Il mercato pubblicitario tradizionale si basava sull’affitto di spazi – pagine sui giornali, cartelloni, spot televisivi – che, nelle speranze degli inserzionisti, intercettavano lo sguardo del maggior numero di persone possibile sperando di colpirne l’attenzione.
Google e la pubblicità: che cerca chi sta cercando Questo modello è stato rivoluzionato quando Google ha creato i link sponsorizzati, annunci mostrati a chi fa una ricerca su specifiche parole chiave. Se chiedo a Google informazioni sulle vacanze in Puglia, il mio potenziale interesse verso un hotel in Salento è molto più alto di chi, camminando per strada, passa davanti a un cartellone; inoltre, l’inserzionista paga Google non quando l’annuncio compare, ma al momento del clic sulla pagina promossa. È quindi una pubblicità che intercetta la domanda attiva di clienti e consumatori.
Facebook e la profilazione di comportamenti e interessi Facebook, su cui passiamo ormai ore e ore, registra moltissime informazioni su di noi: i nostri gusti, i siti che visitiamo, i luoghi in cui viviamo e viaggiamo, e usa questi dati per vendere agli inserzionisti dei target estremamente profilati per comportamenti e interessi – ad esempio, genitori con bambini fino ai 6 anni che amano il mare, hanno un livello medio-alto di istruzione e vivono in città da cui partono voli per la Puglia. Le aziende possono mostrare messaggi diversi a persone diverse: il babyclub ai genitori, la palestra agli amanti della fitness, e così via.
Se non paghi, il prodotto sei tu? Quando iniziamo a usare un servizio accettiamo un contratto che spesso implica uno scambio fra le funzionalità messe a disposizione e l’uso delle nostre informazioni. Non c’è niente di intrinsecamente malvagio in questo scambio, che anzi può essere comodo anche per noi: io preferisco vedere pubblicità di prodotti che mi interessano piuttosto che spot di cui non mi importa nulla. L’importante è esserne consapevoli, per scegliere fino a che punto vogliamo barattare comodità con riservatezza.
Vuoi sapere perché vedi un certo annuncio sponsorizzato su Facebook? Fai clic sull’angolo in alto a destra del post e, dal menù che si apre, scegli la voce “perché vedo questo annuncio?”. Scoprirai quali caratteristiche (età, interessi, comportamenti) interessavano agli inserzionisti.
Retargeting: la pubblicità che ci segue online Sia Google che Facebook permettono di fare retargeting, cioè mostrare in modo automatico annunci correlati a una pagina che abbiamo visitato da poco. Così ci capita di rivedere ovunque – su Facebook, sui blog che leggiamo, sul meteo – le scarpe che avevamo messo nel carrello senza poi acquistarle davvero; tutto ciò è possibile grazie ai cookie di tracciamento, quelli che, all’ingresso di un sito, quasi sempre accettiamo con un clic per chiudere la fastidiosa finestrella che si apre: un classico caso in cui la cura (obbligare i titolari dei siti a chiedere il consenso per l’uso dei cookie, così da tutelare la privacy dei navigatori) ha sortito l’effetto opposto (rendere automatica, per sfinimento, l’accettazione degli stessi).
Guida completa alla pubblicità su Facebook La fornisce lo stesso Facebook, e spiega in modo chiaro il meccanismo con cui gli inserzionisti creano le campagne, quali informazioni usa Facebook per decidere se mostrarci un annuncio, e come possiamo controllare gli annunci che ci vengono mostrati. www.facebook.com/ads/about