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Il fervore ingegneristico delle grandi opere sul suolo italico sembra essere in una fase di stanca dopo i fasti, per fortuna solo teorici, del ventennio berlusconiano che ci ha regalato una montagna di progetti e solo qualche ridicolo topolino. Ed è stata una fortuna, perché saremmo altrimenti stati sommersi da una valanga di cemento inutile, che si sarebbe aggiunto ai milioni di chilometri cubici dei piani casa e dei condoni edilizi.
La vera jattura dei governi di centro destra in questo paese non è stata tanto ideologica o politica (ognuno può decidere per proprio conto in tutta libertà), ma soprattutto ambientale: il solo annuncio dei condoni ha consentito centinaia di migliaia di costruzioni abusive, e molte di queste sono state innalzate in zone a rischio naturale elevato poi regolarmente sommerse dalle alluvioni e dalle frane. Dunque, nei fatti, poche grandi opere, a grande scala. Ma molti lettori hanno notato che il fervore si è tramutato in pratica locale e si domandano se servano anche queste opere più piccole, perché se non si pensa più al Ponte sullo stretto di Messina si pensa ancora al passante provinciale o alla pedemontana o ad altre diavolerie perlopiù inutili e spesso dannose. Colline cancellate a Cividale del Friuli, opere poi sommerse dalle alluvioni un po’ dappertutto, addirittura chi ricorda, giustamente, il Vajont, un’opera ingegneristica all’avanguardia, perfetta quasi, ma imposta nel luogo più sbagliato del mondo.
In particolare alcuni lettori mi chiedono del Passante autostradale Nord di Bologna, da loro giudicato inutile, oltre che sostenuto da interessi speculativi. Senza entrare nel merito, che andrebbe conosciuto nel dettaglio, in generale si può dire che pensare alla viabilità stradale in un Paese che ha già oltre 300.000 km di strade “ufficiali” e dove circa l’80% delle merci già viaggia su gomma, appare come minimo poco giustificato. In realtà il discorso sulle infrastrutture italiane è ancora più drammatico: mancano quelle utili e abbondano quelle inutili, per non parlare di quelle mai terminate.
In un paese moderno le infrastrutture assecondano lo sviluppo, non lo guidano. Mica siamo alla fine di una guerra o in un paese in via di modernizzazione con opere mancanti o distrutte.
Nell’Italia del terzo millennio di grandi opere ce ne sono fin troppe: ma la Calabria non pare si sia giovata della infrastrutturazione faraonica di Sibari, per far crescere Corigliano, mentre il Nord Est si è sviluppato senza avere una grande rete infrastrutturale. In Italia semmai mancano ferrovie moderne a livello regionale, ché di alte velocità ne abbiamo fin troppe, ma abbiamo abbondanti aeroporti, porti e strade. E fin troppe costruzioni: ogni secondo che passa nel nostro martoriato paese si stende almeno 1 mq di cemento: siamo sicuri che ne abbiamo ancora bisogno?
(marzo 2014)