Sembrerebbe una domanda oziosa, addirittura stupida: perché mangiamo? In realtà, le cose sono più complicate di quanto sembrano.
Mangiamo per vivere, è chiaro. Il cibo è il nostro carburante. È la fame ad avvertirci: attenzione, il motore è in riserva. Ma subito si innescano altre motivazioni, altre suggestioni. Tanto per cominciare, il piacere. Mangiare dà soddisfazione. Mangiare bene è meglio che mangiare male. Difatti gli uomini hanno sempre cercato di farlo, inventando piatti e ricette nutrienti, sì, ma anche piacevoli. Inventando l’arte della cucina, che più di ogni altra cosa distingue gli uomini dagli altri animali.
Poi, si mangia per stare bene. Il rapporto fra cibo e salute è sempre stato al centro della riflessione dietetica e gastronomica: di una dietetica che diventava gastronomia, dettando le regole per ottenere – dai modi di cottura, dalla combinazione degli ingredienti, dagli accostamenti di prodotti – soluzioni utili al benessere e al piacere (i medici del Medioevo addirittura sostenevano che «ciò che piace fa bene»).
Infine, si mangia per comunicare. Il cibo è strumento di relazione per eccellenza. La convivialità, la condivisione, la ritualità della tavola (una ritualità leggera, quotidiana) sono sempre state, in ogni società, il cuore del vivere insieme. Ecco perché il “convivio” si chiama così: vuol dire “vivere insieme”. L’uomo, che Aristotele definiva «animale sociale», ha msempre desiderato mangiare assieme agli altri, per scopi che non sono semplicemente nutrizionali ma, appunto, relazionali.
Ed ecco che leggo (“Repubblica” del 7 luglio 2014) di illustri scienziati secondo i quali «presto abbandoneremo gli odori e le scomodità della cucina», riducendo il nostro pasto a «una compressa tutto-compreso, cioè una compressa al sapore di niente che darà al nostro corpo i nutrimenti giusti: proteine, vitamine e un pizzico di sali minerali». È il progetto “Iron Man” (un nome che dice tutto) allo studio nei laboratori Nestlé in Svizzera. Spiegano i ricercatori che una capsula simile a quella dei caffè, personalizzata secondo i bisogni di ciascuno, contenente una miscela di nutrienti essenziali, basterà a nutrirci, liberandoci finalmente dalla schiavitù della cucina e dei pasti. Insomma, resterà più tempo per lavorare.
Il problema è che i «bisogni» non sono solamente nutrizionali. Il piacere è un bisogno. La relazione con gli altri è un bisogno. Il cibo è ben altro che una combinazione di sostanze chimiche. Pare di essere tornati indietro di cinquant’anni, al periodo dei voli spaziali, quando si immaginava che una pillola avrebbe sostituito (per gli astronauti prima, e poi per tutti) il noioso rituale del pasto. Avete più sentito parlare della pillola? Non credo che le nuove capsule avranno sorte diversa.
settembre 2014
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Articolo fantastico!