C’è una diffusa idea che il cambiamento climatico, anche in Italia, sia un rischio del futuro, che interessi solo le generazioni più giovani, che per ora non sia un problema urgente di cui occuparsi. Nulla di più errato. È dagli anni ‘90 che il clima del nostro pianeta mostra segni di squilibrio causato dalle emissioni di gas serra delle attività umane, con la temperatura globale già aumentata di 1,2 °C nell’ultimo secolo. L’Italia è particolarmente esposta a questi mutamenti, viene definita infatti “hot spot climatico”, perché il Mediterraneo è un mare piccolo, che si riscalda più degli oceani aperti, perché è molto popolato e perché è vicino agli anticicloni caldissimi del Sahara. Il risultato è che l’Italia si è riscaldata del doppio rispetto alla media globale.

I nostri ghiacciai alpini si sono ridotti del 60% nell’ultimo secolo, facendo diminuire anche le riserve idriche destinate al Po, all’agricoltura e alla produzione idroelettrica; l’innevamento sulle nostre montagne dura meno e penalizza l’industria turistica invernale; le ondate di caldo africano, dopo la prima dell’estate 2003, sono diventate più frequenti e più intense. Il 4 agosto 2017 si è toccato il record della pianura padana con 43 gradi a Forlì e l’11 agosto 2021 è stata la volta di Siracusa, con il record di tutti i tempi per l’Italia e l’Europa: 48,8 gradi. L’estate 2022 è stata la più calda per tutta l’Europa sud-occidentale e ha provocato 61 mila vittime per colpo di calore, di cui oltre 18 mila in Italia. Quella del 2023 sembra avviarsi sul podio delle più calde. 

Siccità, alluvioni e tempeste sono amplificate dal riscaldamento globale: quando interessano grandi aree come nel caso delle due alluvioni della Romagna nel maggio 2023, i danni sono di decine di miliardi di euro e impattano anche sui prodotti agricoli che mettiamo nella nostra spesa: molti frutteti d’eccellenza di Cesena e Ravenna sono stati danneggiati irrimediabilmente e ciò genera anche l’aumento dei prezzi dei prodotti. 

Il livello dei mari cresce in tutto il mondo in media di 4,6 millimetri all’anno, a causa della dilatazione termica delle acque e della fusione dei ghiacci polari: Venezia e il delta del Po sono le aree più fragili del nostro territorio e dovranno fare i conti tra pochi decenni con maggiore erosione dei litorali e acque alte più elevate e aggressive. A fine secolo, senza limitazione delle emissioni, rischiamo di avere l’Adriatico in salotto in una fascia che va da Grado a Rimini, con circa un metro di livello in più. 

Di tutte queste problematiche, che già oggi influenzano l’economia e le nostre vite, causando anche vittime, dovremmo occuparci subito, perché a giochi fatti non potremo più correre ai ripari. La finestra della prevenzione si sta chiudendo, come dice il segretario generale Onu António Guterres. Eppure, diamo ancora retta al negazionismo climatico, che è una scappatoia comoda per non assumerci responsabilità, per dire che non è colpa nostra, per lasciare tutto com’è. Ma il rischio di consegnare ai nostri figli e nipoti un pianeta dal clima ostile è concreto e ogni giorno più grande. Occhio, perché sarebbe irreversibile.

Tag: cambiamento climatico, riscaldamento globale, estate, caldo

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