Dopo lo sciopero per il clima del 15 marzo scorso nel quale decine di migliaia di giovani italiani sono scesi in piazza per chiedere più attenzione ai temi ambientali, mi è stato più volte chiesto da parte loro quale sarebbe dovuto essere il passo successivo per essere efficaci. Ho suggerito che, nei paesi democratici, l’impegno politico ha sicuramente un ruolo importante: votare chi propone un programma più aderente possibile alla sostenibilità ambientale, o meglio ancora costituire un nuovo partito e farsi votare. Mi è stato risposto quasi sempre: “No, noi vogliamo rimanere fuori dalla politica”. Come dire, chiediamo a quella stessa politica che fino ad ora ha creato i danni climatici di rimediare, ascoltando le nostre richieste, ma senza tentare di cambiare in prima persona la situazione. Poi ecco i risultati delle elezioni europee del 26 maggio 2019: i Verdi secondo partito in Germania, con la fascia di giovani da 18-24 anni che assegna loro il 27 per cento di preferenze. Seconda forza politica anche in Finlandia, terza in Francia. Quarta al Parlamento Europeo, con 74 seggi.
E in Italia? Siamo al 2,3 per cento, irrilevante, non supera nemmeno lo sbarramento del 4 per cento. Poco più di seicentomila preferenze. Dove sono finiti i nostri giovani preoccupati per il loro futuro? In larga parte sono rimasti a casa, visto che la fascia 18-24 anni ha sofferto del 47 per cento di astensioni, contro il 36 per cento degli elettori tra 45 e 54 anni, quelli più attivi. E l’altra metà che si è presentata ai seggi non ha votato in modo significativamente diverso dagli altri: 2,9 per cento di preferenze al partito verde. Questo vuol dire che i nostri giovani elettori hanno fondamentalmente copiato i loro genitori, rispecchiando scelte conservatrici. Hanno perso l’opportunità di dare un segnale indipendente e in controtendenza, adeguato ai tempi e agli allarmi scientifici, come invece hanno fatto i loro colleghi del nord Europa. Il corpo elettorale italiano vede poco meno di quattro milioni di aventi diritto al voto tra 18 e 24 anni, che diventano circa 7 milioni se ci spingiamo fino a 30 anni. È questa la fascia d’età che più dovrebbe essere interessata ai problemi che i cambiamenti climatici e il degrado ambientale riverseranno su di loro nei prossimi decenni.
A giudicare dal voto ambientalista, ne ha consapevolezza meno di uno su dieci. Questi dati mostrano due problemi. Il primo è la bassa alfabetizzazione ambientale dei giovani italiani: mancano formazione e informazione, la scuola è indietro nell’offerta didattica sui temi ambientali e meno ancora è possibile costruirsi un’opinione corretta basandosi sulla caotica diffusione di notizie nei media. Il secondo problema è la scarsa fiducia e rappresentatività del partito verde italiano, che certo non ha brillato per proposte, sensibilizzazione culturale e militanza tra i giovani, i quali forse l’hanno visto per la prima volta solo come un simbolo lontano e astratto stampato sulla scheda elettorale. Ora però la lezione è arrivata: se si vuole contare qualcosa nelle scelte strategiche del proprio futuro, bisogna farle valere, e la democrazia offre a tutti come primo strumento, relativamente semplice da impiegare, una matita.