Ripartire dopo il coronavirus, ma come? Come prima, più di prima, è la visione più banale e probabilmente più rischiosa. La tentazione di ripianare i danni economici con gli stessi strumenti antecedenti lo stop forzato è forte. Basta premere ancor più sull’acceleratore della crescita per compensare le perdite, tanto più che il crollo del prezzo del petrolio rende più facile riattivare i consumi e ignorare le norme ambientali. Già sento pontificare: siamo in crisi, non possiamo subire i lacci dell’ambientalismo, avanti tutta, bruciamo tutto quel che si può. Il finale è scontato, dopo pochi anni ci troveremo davanti ad altre emergenze, dai cambiamenti climatici al collasso ecosistemico. La seconda via, più faticosa ma invocata da chiunque non sia accecato dai bilanci aziendali, ci esorta a utilizzare questa netta cesura del sistema produttivo globale come lezione ed esperimento sul futuro. Lezione perché non ci si faccia cogliere di nuovo impreparati verso gli altri rischi ambientali.

Esperimento perché il calo dei trasporti e dei consumi e la ridefinizione delle priorità e dei valori individuali aiutino concretamente a riprogrammare un mondo meno dissipativo, meno frenetico, meno futile e più sostenibile a lungo termine. A mio parere la lezione più grande è rappresentata dall’ennesima prova del peso eccessivo attribuito all’economia nel dominare le nostre vite. Il virus ha minacciato la salute di tutti e portato via la vita di molti, i beni che dovrebbero essere più importanti in assoluto. Non ha distrutto città, fatto saltare ponti e dighe, incendiato fabbriche come un bombardamento nucleare o un terremoto. Tutto è rimasto intatto. Si è solo resa necessaria una sosta nella nostra forsennata bulimia produttiva e patologica ipermobilità. Cosa la impediva? Solo il terrore delle conseguenze economiche, che è stato ragione di tanti ritardi e tentennamenti nell’applicare le misure di contenimento dell’epidemia. Mentre il virus obbedisce a ineludibili forze naturali fisico-chimiche-biologiche, l’economia obbedisce a regole che solo e soltanto noi ci siamo dati e possiamo cambiare quando vogliamo. Ci siamo messi in una gabbia da soli e ci lamentiamo di non poterne uscire. Ma alcuni hanno le chiavi, devono solo tirale fuori e cambiare le regole.

Chi ci impedisce di congelare interessi e debiti per un anno, applicare nuove forme di finanza etica, abolire rendite immorali e tirannie borsistiche? Nessuno. L’universo, con le sue ferree leggi attive da miliardi di anni, è lì che si domanda per qual motivo il Pil che non cresce sia più importante dell’entropia che facciamo crescere devastando il nostro pianeta. Un esempio di uscita dalla gabbia ce lo fornisce l’introduzione per bolla papale del calendario gregoriano: a giovedì 4 ottobre 1582 del calendario giuliano fece seguito venerdì 15 ottobre, aggiungendo di botto i dieci giorni perduti per l’imprecisione delle precedenti misure astronomiche. Lo si sapeva dall’anno 325 e non si fece nulla fino a che la situazione divenne insostenibile, ma poi le regole della realtà fisica prevalsero su quelle – errate – delle convenzioni umane. Così si potrebbe fare dopo il coronavirus, con una nuova economia al servizio dell’uomo e non il contrario.

Tag: emergenza coronavirus, finanza etica, pil

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