Le mine antiuomo sono una vergogna dell’umanità. Sono tante, infide, cattive. Rimangono nel terreno per anni, aspettano. Ingannano, perché sembrano qualcos’altro: un giocattolo, un oggetto strano. Quelle seminate a migliaia dai sovietici in Afghanistan si chiamano Pappagalli Verdi.
Poi qualcuno le prende in mano e esplodono. Alcune sono programmate per non scoppiare subito, ma solo dopo un certo numero di manipolazioni. Così il bambino che l’ha trovata fa in tempo a portarla ai suoi amici. Così molte vittime sono bambini: ne escono ciechi, mutilati, con il viso distrutto e una paura immensa. Dal 1999 il Trattato Internazionale di Ottawa ne vieta l’utilizzo, la vendita e la produzione. Lo hanno firmato quasi tutti i paesi del mondo, ma non Russia, Cina, India e Usa, anche se questi ultimi si attengono di fatto alle regole del trattato.
L’Italia si è distinta come gran produttrice e venditrice di queste schifezze, poi, grazie all’impegno di tanti, Emergency più di altri, si arrivati alla messa al bando. Ma le mine restano.
È difficile contarle, ma le Nazioni Unite dicono che ce ne sono disseminate cento milioni in una sessantina di paesi. Sono in Cambogia, Afghanistan, Angola, Mozambico, Sudan, Somalia, El Salvador, Kurdistan, Kuwait. Ma anche vicino a noi, in ex-Jugoslavia. Sminare costa molto e così molti luoghi rimangono impraticabili per la mobilità e l’agricoltura.
Le mine restano lì e bloccano le vite. Dall’agricoltura viene adesso una possibilità. Si chiama Locostra, Low cost tractor, ed è un trattore sminatore radiocomandato. Lo ha realizzato un artigiano di Silvano D’Orba, provincia di Alessandria. Si chiama Gianni Polentes ed è il titolare di un’azienda che dal 1883 produce macchine agricole, la Pierre Trattori. Da qui l’idea di una macchina che sarchia il terreno per tirar fuori le mine antiuomo un po’ come si fa quando si raccolgono le patate. Un normale trattore, ma comandato a distanza, con la struttura rinforzata e le ruote – gomma all’interno e acciaio fuori – che resistono all’esplosione accidentale delle mine.
Per continuare a lavorare anche tra i botti. Poi, finito di sminare il campo, con poche e veloci manovre, il Locostra ridiventa un trattore. Per arare e seminare. Invece gli altri macchinari da sminamento derivano da carri armati o altri veicoli militari, sono molto grandi, meno manovrabili e sanno fare solo quello. Costano anche di più, fino a dieci volte tanto rispetto al Locostra che vale circa 50mila euro.
Il Locostra, proprio perché pensato come una macchina agricola, potrebbe consolidare la posizione del nostro paese come leader in questo settore. Facendoci fare una bella figura internazionale.
Piace ricordare che tra tutte le intelligenze messe in campo per un progetto così complesso – ci sono le Università di Genova e delle Marche, quella della Giordania e quella di Melbourne, l’Associazione Italiana di Robotica e Automazione, un’associazione non profit genovese ed una norvegese che lavora in Giordania, un istituto di ricerche esplosivistiche, il Ministero dello Sviluppo Economico e l’Istituto Italiano per il Commercio Estero – gioca un ruolo fondamentale un artigiano.
Grazie a Gianni Polentes.
Massimo Cirri e Filippo Solibello