Dice il vecchio adagio cinese che, quando piove molto, non conviene guardare in cielo, ma a terra. Ma di questo non sembra accorgersi chi governa questa nostra penisola delle frane (va detto a qualsiasi livello, nazionale o locale). Si pone estrema attenzione alla meteorologia, ed è giusto, visto che le precipitazioni hanno cambiato regime in tutto il mondo e anche da noi. E che tenere sotto osservazione le precipitazioni è fare prevenzione. Oggi in poche ore piovono anche 300 o addirittura oltre 400 mm di acqua: una quantità che negli anni passati sarebbe caduta in settimane o mesi. Si chiamano bombe d’acqua (o flash flood, alluvioni improvvise) e costituiscono la prima causa delle inondazioni moderne.
Sono scarsamente prevedibili nel dettaglio, ma ormai abbastanza note per preconizzarne il decorso violento, specie se toccano zone dove già sono avvenute. Ma anche in questo inverno il suggerimento cinese andrebbe accolto: non ci sarebbero le vittime e i danni che abbiamo di fronte, se avessimo posto maggiore attenzione a quanto si stava profilando sul nostro territorio nazionale da mezzo secolo a questa parte. I numeri sono impressionanti: in alcune regioni la percentuale di territorio a rischio idrogeologico assomma al 90%. Piemonte e Trentino, però, presentano un minore numero di vittime rispetto alla Campania e alla Calabria, che hanno una minore quantità di territorio a rischio. Non avendo alcuna propensione al razzismo, dovremmo cercare una spiegazione alternativa a questa discrepanza geografica, in cui rientrino quanto meno differenze nei controlli e influenza della malavita organizzata.
Nel 1966 la commissione De Marchi mise in luce la gravissima fragilità del nostro territorio dal punto di vista del rischio idrogeologico.
Eravamo all’indomani dell’alluvione di Firenze e della clamorosa acqua alta di due metri a Venezia. Oggi, se piovesse come in quell’inizio di novembre, l’Arno esonderebbe facendo molti più danni che cinquant’anni fa. Eppure nessuno sembra farci caso e, anzi, in molti si appellano alle cause puramente meteorologiche, reali, ma comunque ancora secondarie. Le piogge stanno cambiando per via del surriscaldamento climatico in atto e le bombe d’acqua sono difficili da evacuare da parte delle aste fluviali. Il problema è che, però, quegli alvei sono già ricoperti di asfalto e cemento, costruiti all’inverosimile, fino al punto che non possono più assorbire in profondità le precipitazioni.
Guardiamo quanto avvenuto in Liguria o in Veneto, regioni pure avanzate e moderne ma schiave di un modello di sviluppo che prevede ancora troppo cemento. Ci si ostina a vivere dentro gli argini fluviali o nelle aree golenali e poi si invoca lo stato d’emergenza perché il fiume fa il suo dovere. Così gli alvei si intasano e l’acqua sommerge tutto. Insomma, ancora colpa nostra, pure se oggi vanno di moda le “alluvioni esplosive”, colpa anche esse di un cambiamento climatico che, comunque, dipende ancora da noi.
Mario Tozzi