Il gelo e le imponenti nevicate che hanno sepolto le regioni adriatiche dell’Appennino nel gennaio scorso hanno creato una gran confusione mediatica in relazione ai cambiamenti climatici. Per qualcuno neve e freddo rappresentavano un alibi perfetto per negare il riscaldamento globale e fare l’occhiolino a un’imminente glaciazione, per altri una prova schiacciante che il clima va divenendo più estremo e si è trattato di un’eccezionalità mai vista. Sono approcci entrambi inappropriati. La prima considerazione è ingenua e facile da neutralizzare: non è un breve episodio di neve e gelo su una limitata regione a contraddire l’aumento termico planetario, l’aggettivo “globale” è fondamentale a riguardo, la superficie di Marche, Abruzzo, Molise e Puglia è di circa 44.000 km2, pari allo 0,009% dell’area terrestre! E un mese con temperatura un po’ più fredda della media non rappresenta né l’intero anno, né la tendenza a lungo termine verso il riscaldamento, che comunque è in atto anche su quelle regioni. Il freddo del gennaio 2017 è risultato pressoché ordinario sulla Pianura Padana, dove la temperatura media mensile è stata solo di mezzo grado circa sotto quella normale.

L’anomalia è divenuta più importante verso l’estremo Nord-Est e verso il Sud Italia (circa 3 °C sotto media), più esposti al soffio dei gelidi venti balcanici che hanno insistito per una ventina di giorni, tuttavia si è trattato di una situazione fuori dal comune solo in rapporto ai troppo tiepidi inverni recenti. I nostri nonni invece, abituati a stagioni ben più crude di oggi, non se ne sarebbero stupiti! Prendiamo ad esempio Trieste: la media di gennaio 2017 è stata di 3,4 °C, e per trovarne una più bassa in questo mese in effetti bisogna tornare indietro di trent’anni, fino al gennaio 1987 (2,9 °C) e a quello del 1985 (1,8 °C), ma poi allontanandosi nel passato i casi più rigidi di quello attuale si infittiscono… 1966, 1964, 1963, 1954, 1947, 1946, 1945, 1941, 1940, 1935: erano quindi situazioni pressoché normali! Al contrario di quanto accade per il freddo, sei dei dieci mesi più caldi della serie secolare sono recenti, post-2000.

L’atmosfera terrestre si sta dunque riscaldando, gli episodi di caldo eccessivo diventano molto più ricorrenti, quelli di freddo intenso si fanno invece più rari, pur senza scomparire del tutto e, quando avvengono, ci sorprendono maggiormente. La nevicata di metà gennaio è stata di certo imponente, con oltre due metri di neve caduti in 3-4 giorni dai Monti Sibillini al Gran Sasso, ma – al di là della fatale valanga di Rigopiano e dello stress da terremoto –  il confronto con il “nevone” che nel febbraio 2012 scaricò due metri di manto su Romagna, San Marino e Urbino, appena un po’ più a Nord, ci dice che si è trattato di un episodio non così eccezionale per l’Appennino. Piogge e nevicate abbondanti sono eventi difficili da attribuire ai cambiamenti climatici, e sono i loro effetti a sorprenderci, i danni alle cose e alle persone, che spesso dipendono però dal cattivo uso del territorio. È la tendenza al riscaldamento di lungo termine il sintomo principale su cui concentrare l’attenzione, senza dover fare a palle di neve tra sostenitori di glaciazioni e tropicalizzazioni.

Tag: Clima, Meteo, cambiamenti climatici

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